Ho smesso di vergognarmi del mio corpo da mamma, dopo averlo fatto a lungo e profondamente. Condizionata da un illusorio concetto di perfezione e da canoni di bellezza stereotipati e discutibili.

Ho smesso di vergognarmi della mia pancia, che resta flaccida nonostante la ginnastica e che dopo due cesarei ravvicinati è rimasta asimmetrica, sopra la cicatrice indelebile che mi attraversa da parte a parte. Ho smesso di vergognarmi del seno che, dopo due lunghi allattamenti non è più tonico come un tempo.

Dei capezzoli che non sono più piccoli e identici, della pelle che si è riempita di macchie. Ho smesso di vergognarmi dei segni che mi sono rimasti, evidenti, sotto gli occhi a causa dei troppi grassi che avevo nel sangue quando ero incinta.

Al mio corpo da mamma devo i miei figli

Ho smesso di vergognarmi del mio corpo da mamma perché è dal mio corpo che sono venuti i miei figli. Non solo perché li ho portati nella pancia e poi lasciati andare, ma perché li ho letteralmente costruiti pezzo a pezzo, mattone su mattone, cellula dopo cellula.

Gli atomi e le molecole che hanno formato i loro corpicini paffuti e rosa – il calcio delle ossa, il ferro dei globuli rossi, l’acqua dei loro tessuti – sono venuti dal mio corpo, e attraverso il mio corpo da mamma sono passati.

E sempre questo corpo, nonostante fosse gonfio, lacero e stanco, ha continuato a edificare i miei figli per mesi, giorno e notte, alimentandoli in ogni possibile accezione di questa parola. Come potrei, perché dovrei vergognarmi di un corpo che ha compito simili meraviglie?

Il mio corpo da mamma funziona

Ho smesso di vergognarmi del mio corpo da mamma perché è un corpo in piena salute. Il corpo di una donna, e di una madre, che cerca di nutrirsi con cura (ma senza oltranzismi), che si allena come e quando può, che grazie al cielo non ha malattie o malfunzionamenti con cui fare i conti.

Il mio corpo da mamma è un corpo che sta bene, che mi permette di vivere e di farlo nel migliore dei modi. Un corpo che tante persone, alle prese con la malattia, con la disabilità o con il dolore, pagherebbero per poter abitare.

Il mio corpo da mamma e quello di mia figlia

Ho smesso di vergognarmi del mio corpo da mamma perché somiglia tremendamente a quello di mia figlia. Non solo nei tratti e nelle espressioni del viso, ma anche nelle forme della figura complessiva, nella lunghezza degli arti, nella proporzione tra curve (tante) e spigoli (quasi inesistenti). Nell’andatura, nelle posizioni assunte istintivamente nei momenti di abbandono.

Finanche negli odori. Il mio corpo è molto simile a quello della mia bambina, che io amo fortissimo e incondizionatamente. Al suo corpo che dal mio è venuto, e che io, negli ultimi cinque anni, ho baciato in ogni centimetro di pelle, che ho lavato, cullato e portato in braccio per intere giornate e nottate.

Perché, dunque, vergognarmi di qualcosa che è parte dell’eredità che le ho lasciato e di tutto quello che abbiamo in comune?

Il mio corpo da mamma parla di me

Ho smesso di vergognarmi del mio corpo da mamma perché, semplicemente, ho capito che nessuna donna dovrebbe mai vergognarsi del proprio corpo (e nessun uomo, del resto), a meno che non lo abbia utilizzato per nuocere a qualcuno.

Perché ho capito, finalmente, che ciascuno di noi è unico e irripetibile, e porta impresse su di sé – dentro e fuori – le tracce del sentiero che ha percorso, dei viaggiatori che ha incontrato, delle emozioni che ha vissuto. Ogni corpo racconta quello che siamo stati e quello che siamo adesso, per scelta o nostro malgrado.

Racconta le opportunità che siamo riusciti a cogliere, quelle che ci sono sfuggite e finanche quelle che ci sono state negate. Racconta ciò che siamo, ma anche, paradossalmente, quello che abbiamo smesso di essere e quello che non saremo mai.

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