Prima o poi arriva per tutte. Quel momento imprevisto in cui, distrattamente, ti definisci ad alta voce come “la mamma di”. Senza neanche farci davvero caso, magari ti viene spontaneo perché stai parlando con il genitore di un compagno di scuola di tuo figlio, oppure perché ti trovi ai giardinetti, dove la maggior parte della gente conosce lui e non te. In ogni caso, però, l’effetto può risultare davvero straniante.

Non perché ci sia qualcosa di sbagliato nel riconoscersi a voce alta come la mamma del proprio bambino (è la verità, d’altra parte!), ma perché per le madri, forse, esiste sempre un certo rischio di finire col sentirsi “prevalentemente”, o soltanto mamme. Che questa condizione fagociti in qualche modo tutto il resto, che arrivi addirittura a definire la propria natura complessiva di donne e individui.

La maternità non definisce tutto ciò che siamo

Essere madri non è un dettaglio irrilevante. Non è un mestiere, non è un hobby, non è una caratteristica come le altre. È un’esperienza fisica, psicologica ed emotiva di portata colossale, uno stato che interviene sulla tua natura profonda, che enfatizza certi tratti della tua personalità e ne smussa altri, e che tira fuori da te – nel bene e nel male – cose che neanche sapevi di poterci trovare.

Eppure non definisce del tutto ciò che sei. Non esaurisce le sfumature infinite della tua personalità, della tua individualità. Siamo madri, e questo ci rende per molti versi “altro” rispetto a quello che eravamo prima di diventarlo. Ma siamo anche molto di più. E, anche se spesso ci sembra che non sia così, abbiamo tanto in comune con le “noi” senza figli.

Non smettiamo di prenderci cura di noi stesse

Siamo madri. Ma siamo donne. Mogli, figlie, sorelle, amiche. Lavoratrici, elettrici, cittadine. Siamo persone, direi molto banalmente. Persone che hanno intrapreso il viaggio straordinario eppure comune della maternità, ma che conservano interessi, sentimenti, desideri e attitudini che prescindono dai figli. Che hanno il preciso dovere di farlo, oserei dire. Perché non si tratta solo di prendersi cura del proprio corpo e di prestare attenzione all’aspetto fisico, come spesso – e giustamente – si legge nei blog e sui social.

Perché anche se piacersi è fondamentale, e non trascurare il proprio benessere fisico è un impegno che ciascuno dovrebbe assumersi ogni giorno, che abbia o meno dei figli, non è in questo che si può esaurire, secondo me, la cura e il rispetto della propria identità al di là del ruolo materno.

Pretendiamo del tempo per noi

Ricordarsi di essere “anche” donne significa pure concedere tempo a se stesse, un tempo prezioso e pienamente legittimo. Anche quando questo richiede un certo sforzo di volontà, e una lotta contro i sensi di colpa sempre irrazionalmente in agguato. Anche quando questo tempo va preteso, chiesto a voce alta o rubato a chi ci vorrebbe incatenate in modo permanente al nostro “sacro ruolo genitoriale”.

Continuiamo a crescere come persone

Ma significa soprattutto, per come la vedo io, coltivare la propria personalità, giorno dopo giorno. Nutrirla, rispettarla, custodirla. Non lasciare che finisca frustrata e assopita dalla fatica quotidiana della maternità, dalla responsabilità di crescere un figlio, dalla pressione sociale che spesso schiaccia le madri e le vuole perfette, stereotipate, immolate sull’altare sacrificale dei figli e della famiglia.

Significa informarsi, leggere, studiare, lavorare. Viaggiare, se possibile. Garantire a se stesse (e pretendere da se stesse) una crescita personale e professionale, una evoluzione continua, una maturazione che duri per tutta la vita. Restare interessate al mondo, aperte agli altri, avvezze a discutere di argomenti che non siano solo i bambini, la scuola, i malanni di stagione.

Sentirsi madri, ma proprio per questo sforzarsi di essere la migliore versione di se stesse anche al di fuori del contesto familiare. Nell’interesse dei nostri stessi figli, oltre che nel nostro.

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