Alla nostra rubrica l’Esperto risponde arrivano ogni giorno quesiti di diverso tipo: chi ci scrive chiedendo il consulto di un esperto è alla ricerca di una risposta estemporanea, vuole risolvere un dubbio o cerca una conferma. Ci sono anche lettrici e lettori che raccontano pezzi delle loro storie, e alcune di queste storie colpiscono più di altre.

È il caso di una domanda arrivata per la psicologa, che abbiamo deciso di pubblicare qui per la sua complessità e perché siamo convinti che la risposta della dottoressa Sara Lanzini possa essere d’aiuto per molte donne che si pongono domande simili a quella della lettrice.

E che interrogano tutti noi: quanta strada dobbiamo ancora fare perché una donna sia davvero libera di essere ciò che vuole, senza condizionamenti esterni, e soprattutto senza sentirsi sbagliata se non ha – o non ha ancora – quello che sembra doveroso avere?

La domanda della lettrice

Gentile dottoressa,
sono una donna di quasi 38 anni, anche se mio malgrado la mia vita sembra solo ora sul punto di prendere il volo. Ho passato tutta la mia “prima giovinezza” a studiare per tentare di rendermi indipendente, e così ho conseguito due lauree. Finalmente ho un contratto di lavoro all’estero e partirò tra qualche mese. Racconto questo perché per me essere economicamente indipendente è sempre stato il presupposto fondamentale per la maternità.

Un po’ perché i miei due precedenti fidanzati (una storia di sei e una di cinque) sono sempre stati molto “adolescenziali”: attaccati alle famiglie di origine e poco propensi a prendersi la responsabilità di un figlio, specie con un solo reddito; un po’ perché anche la mia famiglia è povera, e non poteva sostenermi.

Due anni e mezzo fa, mentre stavo finendo il secondo corso di studi, ho conosciuto un ragazzo, “quello giusto”: responsabile e protettivo. Sembrava così diverso dagli altri due, ed in effetti lo è, tranne che per un piccolo particolare: ha diversi conti in sospeso con la madre e la sorella.

Loro dipendono da lui economicamente e lui dipende psicologicamente da loro, da una parte se ne sente oppresso ma dall’altra si sente responsabile… e finora si è rifugiato dietro questi carichi per giustificare la sua indisponibilità a metter su famiglia con me (“non posso pensare a due famiglie”).

Io sono convinta che una famiglia possa essere fondata solo sull’amore; non mi sogno nemmeno di lasciarlo e magari trovarmi un altro compagno all’estero con cui metter su famiglia, sapendo che sto ancora pensando a lui. Lui dice che si sente felice solo quando è con me, e per questo sta tentando di svincolarsi psicologicamente dalla sua famiglia di origine, ma la strada è lunga e così incerta…

La mia domanda è questa: c’è un modo per vivere serenamente l’angoscia di non riuscire a diventare mai madre? Sono diversi mesi che ogni mestruazione che mi arriva mi suona come un conto alla rovescia. Inoltre si legge dovunque che “le mamme sopra i 40… uhm…”, come se la colpa fosse sempre e comunque di non averci pensato prima.

La mia rabbia arriva al top quando leggo di donne che sono addirittura “perseguitate” dagli uomini per avere dei figli.

Cos’hanno avuto più di me? Io i figli li ho sempre immaginati nella mia vita, così pure come un matrimonio felice e un buon lavoro. Fanno parte della mia identità e non riesco a immaginare come superare la delusione di non averne avuto neanche uno.

Questa tristezza riguardo al mio utero ancora nel cellophane come una macchina di felicità che sono costretta a lasciar svanire senza nemmeno averci provato, questa invidia, che a stento controllo, verso le donne che, pur tra compromessi che non avrei mai accettato, hanno il privilegio di sentire una guancia di neonato contro il seno, l’odore delle pappe, il peso caldo e carnoso tra le braccia, tutti questi sentimenti orrendi di livore e insufficienza femminile non mi appartengono.

Come posso riconciliarmi con la mia identità di mamma-non-mamma? Come impedire che la maternità diventi per me un demone velenoso?
grazie

La risposta della psicologa

Gentile signora,
il quesito che pone è tutt’altro che semplice e per nulla scontato ed è per questo che vorrei spendere del tempo affinché lo si possa quanto più vedere con tutte le sue mille sfaccettature. Partiamo dal fatto che ogni persona, ogni donna, è diversa e purtroppo oggigiorno la facilità di giudizio con cui una scelta, piuttosto che un’altra, viene valutata condiziona in modo non poco significativo l’agire comune.

È vero che l’età in cui si affronta la gravidanza, al giorno d’oggi, si sta spostando sempre più avanti e la frase “poteva pensarci prima..” è ormai molto/troppo comune: la verità è che, come giustamente dice lei, essere economicamente e personalmente indipendente è oggi quasi fondamentale e necessariamente per far sì che questo accada il desiderio di famiglia deve essere posticipato.

Ecco quindi che è qui che dobbiamo porci il primo vero interrogativo: perché se il mondo è cambiato, i tempi sono cambiati, le necessità e le possibilità sono cambiate, una donna viene spesso colpevolizzata per un desiderio che ha ma che può pensare di realizzare solo secondo i suoi tempi?

Questo dovrebbe farci molto riflettere perché credo che molte di noi donne, se ce ne fosse la possibilità, farebbero probabilmente figli in giovane età senza aspettare, ma la verità è che spesso non è una scelta che dipende da noi. Ed ecco quindi che è qui che mi soffermerei, su ciò che si pensa che una donna dovrebbe fare e dovrebbe volere: perché un uomo può decidere quand’è il momento migliore per diventare padre, o scegliere di volere dalla propria compagna un figlio e una donna, per la società dovrebbe necessariamente seguire determinati step prestabiliti.

Una risposta reale non c’è, se non che sulla parità dei sessi la strada da fare è ancora molto molto lunga. Ma veniamo ora alla sua domanda per la quale mi sento innanzitutto di fare da subito una precisazione: i suoi non sono sentimenti di livore o insufficienza, sono naturali meccanismi di difesa verso qualcosa che si desidera intensamente e che si ha paura di non riuscire a realizzare.

Il suo desiderio è giusto e ben riposto ed è naturale che alla luce di quanto abbiamo detto fino a questo momento si senta l’ineluttabilità del tempo e la paura di non farcela. Io credo che questo sia il nodo attorno a cui ruota tutto quanto: nel
momento in cui ci si trova ad affrontare qualcosa di nuovo, ma ancora di più qualcosa che ha un suo funzionamento e che non dipende da noi, dal nostro volere o da quanto intensamente ci impegniamo, quel qualcosa fa paura.

È naturale che sia così, fa parte dell’incertezza di non avere da subito le risposte che cerchiamo: riuscirò a diventare mamma? Tra quanto questo accadrà? E se non dovesse succedere?

La verità è che credo che in questo momento sia necessario affrontare un passo alla volta con la consapevolezza di quello che è il suo desiderio di maternità e di condivisione di una famiglia con il suo compagno e nel caso semplicemente provarci: le domande che pone sono domande importantissime ma credo, in questo momento, premature solamente perché in questo momento non credo le sia di aiuto, nell’ottica di diventare mamma, iniziare già a pensare a come vedersi e gestirsi qualora questo non accada.

Spero con questa mia risposta di averla aiutata concretamente affinché possa affrontare nel modo più positivo possibile questa nuova fase della sua vita.
Cordiali saluti,
Sara Lanzini.

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