La lavoratrice che aspetta un bimbo e che diventa madre non può essere licenziata, tranne in casi eccezionali. Quindi no, il licenziamento in gravidanza non è legittimo.

A sancirlo è la legge, che ha stabilito delle tutele e protezioni alla futura e neomamma. Eppure i casi in cui una donna possa trovarsi dinanzi un datore di lavoro sul piede di guerra, pronto a mandarla via, stracciando il contratto di lavoro, anche se a tempo indeterminato, sono davvero moltissimi. Ecco perché molte gestanti vivono un costante stato di preoccupazione per via del futuro della propria professione.

Per trascorrere più serenamente la dolce attesa e i primi mesi di vita del bebè, cerchiamo di capire qualcosa in più sulle tutele che regolano gravidanza, maternità e lavoro.

Licenziamento in gravidanza: cosa dice la legge

Lo Stato italiano ha previsto una serie di tutele per le donne lavoratrici incinte. A tal proposito il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53, decreta le condizioni e le tutele riservate alla mamme. In particolar modo spiega come funziona il congedo di maternità, nonché di paternità.

L’art. 54 del d.lgs. 151/2001, che ribadisce il principio previsto precedentemente nell’art. 2 della l. 1204/1971, stabilisce che le gestanti lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio della gravidanza fino al compimento del primo anno del bambino. Stessa sorte anche in caso di accoglienza del minore adottato o in affidamento.

Ines

chiede:

Il divieto è legato allo stato oggettivo della gravidanza, che deve essere attestato con relativa documentazione, che certifichi lo stato interessante della donna.

Licenziamento in gravidanza per giusta causa

Tuttavia il divieto di licenziamento in gravidanza non è assoluto. La legge prevede anche la possibilità di cessare il rapporto con la lavoratrice incinta in determinate condizioni.

Ai commi 3 e 4 dell’art. 54 del d.lgs. 151/2001 leggiamo che il divieto di licenziamento non si applica nel caso:

  • di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
  • di cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;
  • di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine;
  • di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all’articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni.

Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l’attività dell’azienda o del reparto cui essa è addetta, sempreché il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non può altresì essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni.

Quando ci si riferisce al licenziamento in gravidanza per giusta causa, si tratta di qualcosa per cui l’azienda subisce un effettivo danno e la lavoratrice commette un fatto gravissimo, tale da ledere irrimediabilmente il legame fiduciario col datore di lavoro. Ad esempio, se ruba della merce, procura danni a beni aziendali o commette un reato.

Licenziamento in gravidanza: cosa fare?

“Sono stata licenziata perché incinta, cosa faccio ora?”. Se questo è il caso, se il datore di lavoro ha fatto recapitare la lettera di licenziamento alla donna incinta, ci sono diverse tutele che possono essere messe in atto.

Antonella

chiede:

Innanzitutto è bene sapere che, in assenza delle condizioni precedentemente enunciate, ossia relative alla risoluzione del contratto per giusta causa, cessazione attività, scadenza del contratto o esito negativo del periodo di prova, la legge stabilisce che:

Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, è nullo.
È altresì nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore.

Se il licenziamento è nullo, praticamente non esiste, dunque la donna incinta deve essere reintegrata nel posto di lavoro e ricevere ciò che le spetta di diritto, ossia retribuzioni e contributi previdenziali e assistenziali, maturati dal giorno del licenziamento sino a quello di effettiva reintegrazione.

In caso di pressioni da parte del datore di lavoro, di minacce e lettere di licenziamento, è sempre conveniente rivolgersi a un avvocato specializzato in diritto del lavoro, per impugnare la situazione e risolverla nel più breve tempo possibile.

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