Il rapporto tra genitorialità e lavoro è per gli uomini e soprattutto le donne che vivono in Italia estremamente complesso. Lo confermano tante statistiche che analizzano un fenomeno che pone il nostro Paese lontano dalle medie europee.

Tanto per citare alcuni dati riportati da Save the children, il tasso di occupazione nelle donne tra 25 e 54 anni è del 63,8% nelle donne senza figli mentre scende al 57,8% in quelle con uno più figli. E l’arrivo del primo figlio non è meno discriminante.

Delle oltre 60000 dimissioni volontarie che hanno interessato genitori di figli tra 0 e 3 anni avvenute nel corso del 2022, il 72,8% di esse riguardava le donne. A conferma di come il rientro al lavoro dopo la genitorialità pesa molto di più sulle madri che sui padri.

È quindi importante comprendere bene come funziona il rientro al lavoro dopo la maternità, quali i diritti delle madri e quali i consigli più utili da seguire per rendere questo passaggio meno difficoltoso, non solo per il bambino ma anche per loro stesse.

Quando e come può avvenire il rientro al lavoro?

Una volta terminato il congedo di maternità (che complessivamente dura cinque mesi e la donna può decidere come utilizzare tale periodo prima e dopo il parto) si può decidere di tornare al lavoro oppure di usufruire del congedo parentale facoltativo. Questo permette di posticipare il rientro al lavoro di altri sei mesi.

Partiamo dal ricordare quali sono le tutele previste dalla legge per le donne lavoratrici che decidono di diventare madri. Sempre Save the children ricorda come dall’inizio della gravidanza fino al termine del primo anno di età del bambino le donne non possano essere licenziate (salvo i casi di giusta causa e fine del contratto). Tale tutela vale anche nel caso di una procedura di licenziamento collettivo.

Aspetto non secondario riguarda il demansionamento. Le lavoratrici madri devono svolgere le medesime mansioni svolte prima della gravidanza; l’unico cambiamento possibile è quello volto a migliorare le condizioni di lavoro.

Parallelamente è vietata ogni forma di discriminazione a svantaggio delle donne in quanto gravide o madri. A questo proposito le madri che volessero dare le dimissioni o risolvere consensualmente il rapporto di lavoro devono, entro il terzo anno di vita del bambino (o di ingresso in famiglia per i bambini adottati), ottenere l’obbligo della convalida da parte della Direzione Territoriale del Lavoro competente. Questo per assicurare che le dimissioni siano volontarie e non il frutto di una pressione esercitata dal datore di lavoro.

Il rientro al lavoro dopo la maternità prevede anche una serie di ulteriori tutele per le donne in base al tipo di contratto.

Per le madri lavoratrici, a prescindere dal tipo di contratto, vi è il divieto di sollevare e trasportare pesi, svolgere lavori pericolosi, faticosi e insalubri o che prevedono l’esposizione alle radiazioni ionizzanti e svolgere lavori operativi per chi appartiene alle forze di Polizia o coprire turni di lavoro dalle 24 alle 6 (fino al primo anno di vita del bambino).

Le madri con contratto subordinato o a tempo determinato (anche part-time) sono inoltre previsti permessi di riposo per il periodo dell’allattamento e per chi ha figli con un handicap grave.

Per l’allattamento sono previsti entro il primo anno di vita del bambino due periodi di riposo di un’ora (di mezz’ora se usufruisce dell’asilo nido o altra struttura) per ciascun figlio. Per le madri di figli con disabilità grave sono previste due ore di riposo al giorno retribuite fino al terzo anno di vita del bambino.

In caso di malattia del bambino i genitori possono astenersi dal lavoro per tutta la durata della malattia fino al terzo anno di vita del figlio. Dal terzo fino all’ottavo anno, invece, possono astenersi fino a 5 giorni l’anno senza ricevere i relativi controlli.

5 consigli per il rientro al lavoro dopo maternità

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Fonte: iStock

1. Una scelta legittima

Il primo elemento cui dedicare la maggiore attenzione è legato alla decisione in sé di rientrare al lavoro dopo la maternità. Che avvenga prima del tempo o usufruendo di tutti i permessi disponibili non fa differenze, l’importante è che tale decisione sia libera. Anche se sofferta, la decisione di rientrare a lavoro fatta dalla donna non deve andare a discapito della sua dimensione professionale né di quella di madre. Va quindi affrontato con serenità questo passaggio non cedendo ai sensi di colpa spesso frutto delle pressioni sociali e degli stereotipi.

2. Una separazione necessaria e spesso benefica

Se per alcune donne il rientro al lavoro rappresenta un passaggio lineare e tranquillo, per altre può causare sofferenza e disagio. La separazione dal bambino nei primi mesi di vita può risultare un ostacolo emotivo (oltre che pratico) non indifferente.

Dover sostenere le spese per un asilo nido o una baby sitter (affidando quindi il proprio figlio a estranei) o dover ricorrere ai nonni del bambino o altri parenti non è così facile come si potrebbe immaginare. Ci sono difficoltà emotive e anche logistiche. Per quelle emotive è importante ricordare che separarsi per qualche ora dal bambino anche se questo significherà inizialmente (complici gli orari del piccolo) vederlo poco non significa fargli del male o preferirgli la carriera. Significa semplicemente che la madre è anche una professionista e che tale dimensione continua dopo l’iniziale cura esclusiva riservata al neonato.

E tale decisione è spesso anche frutto della necessità di avere uno stipendio in più con il quale non arricchirsi, ma contribuire a rispondere alle esigenze di tutta la famiglia.

3. Organizzazione pratica

Le difficoltà del rientro al lavoro dopo la maternità sono anche e soprattutto questioni organizzative. Portare il bambino a chi se ne prenderà cura, raggiungere il posto di lavoro, tornare, eccetera sono tutti impegni che è difficile incastrare anche considerando la qualità dei mezzi di trasporto pubblico o del traffico delle nostre città.

È quindi indispensabile organizzarsi valutando tutte le opzioni e le soluzioni disponibili dividendo gli impegni con il partner e laddove necessario chiedere il coinvolgimento di parenti o persone di fiducia che possano tamponare eventuali emergente e imprevisti (che il più delle volte saranno la normalità).

4. Parlare con il datore di lavoro

Laddove possibile è utile (sin dall’inizio della maternità e non solo in vista del rientro) parlare con il proprio datore di lavoro, responsabile delle risorse umane o dirigente di riferimento per concordare il più possibile flessibilità orarie e modifiche alle proprie mansioni (sempre in linea con quanto stabilito dalla legge e tutelando i diritti della lavoratrice). Spesso le aziende stesse prevedono misure di welfare che potrebbero rivelarsi utili per le famiglie con figli o avere quella flessibilità utile a consentire alle donne di rientrare al lavoro dopo la maternità con una maggiore serenità.

5. Ridefinire i ritmi quotidiani

I primi anni di vita del bambino sono quelli nei quali ci sono la maggiore quantità di cambiamenti, sia specifici del bambino che della routine quotidiana. È quindi importante avere la capacità di rimodulare i ritmi quotidiani facendo attenzione a perseguire il bene del bambino (che beneficerà della regolarità) ma anche quello della madre (e dei genitori in genere) prevedendo anche un tempo per sé stessi per evitare di esaurirsi dietro le responsabilità e gli impegni personali, familiari, genitoriali e professionali.

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