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La legge italiana tutela il diritto alla donna a partorire e quello del bambino a nascere; il parto anonimo è un'alternativa all'aborto poco conosciuta.
La scelta della donna di non riconoscere il figlio nel nostro Paese è garantita dalla legge.
In Italia tutte le donne hanno il diritto di partorire in sicurezza in modo completamente anonimo e dovrebbero essere informate di questa possibilità.
Specialmente in un momento delicato come quello della gravidanza e del parto, la donna non dovrebbe essere lasciata sola con la propria paura di non farcela, ma al contrario ricevere aiuto e supporto ed essere messa a conoscenza di tutte le possibilità a sua disposizione nel caso in cui decida di non tenere il bambino e voglia ricorrere all’aborto.
Soprattutto le donne più giovani che non si sentono pronte a diventare madri dovrebbero sapere che hanno diverse alternative e la possibilità di far nascere il proprio bambino, che verrà dato in adozione a un’altra famiglia, disposta a crescerlo con amore.
Spesso il problema è dover chiedere e accettare di farsi aiutare in un momento in cui si è più fragili e ci si sente sole. Ma nel nostro Paese ogni donna ha la possibilità di compiere questa difficile scelta nella massima riservatezza e libertà.
Come abbiamo spiegato, una donna che partorisce ma non vuole riconoscere il figlio ha diritto a ricevere ogni tipo di assistenza e informazioni per operare una scelta libera e consapevole, e partorire in anonimato. La legge italiana tutela, da un lato, la madre che decide di non procedere al riconoscimento, dall’altro il neonato, ognuno con i suoi specifici diritti.
La donna è libera di lasciare il proprio figlio nell’ospedale in cui è venuto alla luce (DPR 396/2000, art. 30, comma 2), per garantirgli adeguata assistenza e protezione. Ogni donna che, in prossimità del parto, si rivolge a una struttura pubblica, sarà assistita senza dover necessariamente fornire informazioni sulla sua identità. Ma cosa bisogna fare precisamente per partorire in anonimato?
In Pronto Soccorso la donna deve esplicitare la sua intenzione di non riconoscere il bambino; a questo punto proprio come tutte le altre madri riceverà assistenza sia nel parto (spontaneo o cesareo), nelle 48 ore successive al parto e, se lo desidera, anche con la visita di controllo in puerperio.
Al posto dei dati anagrafici della madre, nella documentazione clinica si troverà scritto “donna che non vuole essere nominata”. Questo viene fatto per proteggere la madre: è nell’interesse della donna perché sarà impossibile risalire al suo nome e alla sua scelta (il nome della madre per la legge italiana rimarrà segreto).
Il neonato verrà registrato all’anagrafe, attraverso la dichiarazione di nascita effettuata dall’ostetrica, come “nato da donna che non consente di essere nominata”.
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Cosa accade se il figlio della donna che ha partorito in modo anonimo, una volta diventato maggiorenne, vuole conoscere l’identità della propria madre biologica? Fino a non molto tempo fa, a prevalere sul diritto a conoscere la propria identità, era quello della madre di preservare l’anonimato.
Con la sentenza n. 1946/2017, la Corte di Cassazione ha stabilito la possibilità per il giudice di domandare (su richiesta del figlio) alla madre che aveva scelto di rimanere anonima, se nel frattempo non abbia avuto un ripensamento, cambiando la sua decisione originaria e non voglia revocarla; questo permetterebbe al figlio di conoscere le proprie origini.
In poche parole, la Cassazione ha provato a conciliare il diritto fondamentale del figlio a conoscere la propria identità, con il contrapposto diritto all’anonimato della madre.
Tuttavia, se la madre resta salda nella decisione di mantenere segreta la propria identità, in questo caso il diritto del figlio a conoscere le sue radici biologiche si scontra irrimediabilmente col quello della madre a non essere nominata, e trova in esso un limite invalicabile.
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