Torniamo a parlare di lavoro e maternità; questa volta non per occuparci di come gestire il rientro e gli eventuali sensi di colpa o le tutele previste per l’allattamento e le assenze, ma per affrontare la questione mobbing.

Si tratta di un fenomeno che già di suo interessa prevalentemente le donne ma che le rende ancora più esposte durante la gravidanza e il puerperio. In realtà è possibile e doveroso ampliare la prospettiva dell’analisi e prendere in considerazione, come evidenziato nel White Paper del New Women For Europe,  anche tutte le condotte abusive dannose rivolte verso le donne anche per il loro semplice desiderio di avere figli.

Affrontiamo quindi tutti gli aspetti del rapporto tra mobbing e maternità andando a individuare le forme con cui questo fenomeno si manifesta e quali le tutele previste dalla legge.

Che cos’è il mobbing?

Il termine mobbing, che deriva dall’analisi dei comportamenti aggressivi degli animali in branco, ha diverse definizioni. Quelle più utilizzata in ambito lavorativo, come la riporta il sito dell’Arma dei Carabinieri, è quello di:

una forma di violenza sul posto di lavoro consistente in comportamenti vessatori integranti un’aggressione sistematica, prodotta per una certa durata di tempo, posta in essere o da un superiore gerarchico (cd. bossing o mobbing verticale) o dai colleghi (cd. mobbing orizzontale) nei confronti di un lavoratore, con chiari intenti discriminatori e persecutori, finalizzati all’estromissione di questi dall’azienda mediante la progressiva marginalizzazione del suo contributo al processo produttivo e l’emarginazione dalla collettività degli altri dipendenti

Parliamo di un fenomeno complesso e articolato che in Italia non ha normativa univoca e specifica di riferimento. La giurisprudenza lo definisce e considera come quell’insieme di atti e comportamenti protratti nel tempo che hanno come obiettivo quello di escludere la vittima dal gruppo.

Come si manifesta il mobbing in maternità

Forme-mobbing-maternita
Forme: iStock

La maternità (e come abbiamo accennato anche la stessa possibilità di maternità) cambia il modo in cui le donne sono considerate come lavoratrici. Queste sono solo alcune delle possibile forme di pratiche discriminatorie poste in essere nei confronti delle lavoratrici incinte, delle neomamme e delle donne in età fertile:

  • disincentivi alla maternità
  • rifiuto di assunzione
  • rifiuto di proroga dei contratti di lavoro
  • licenziamento
  • molestie

Queste le forme specifiche del mobbing in gravidanza, ma è utile anche accennare a tutte le altre modalità con cui questo fenomeno si può manifestare. Sempre il sito dell’Arma dei Carabinieri, ribadendo come tali atti debbano essere compiuti con un chiaro intento persecutorio, ricorda che il mobbing è anche:

  • impossibilità di comunicare adeguatamente
  • isolare la persona dai contatti sociali
  • lesione della reputazione personale
  • demansionamento
  • produzione di effetti negativi sulla salute fisica tramite l’assegnazione di incarichi pericolosi
  • riduzione della considerazione che il lavoratore ha di sé stesso
  • trasferimento della lavoratrice
  • spingere la lavoratrice a dare le dimissioni forzate
  • abuso del potere disciplinare

Al ritorno dal lavoro dopo la maternità il mobbing può manifestarsi tramite il rifiuto di concedere i permessi per l’allattamento o la malattia del figlio, ricorrere a contestazioni disciplinari pretestuose, rimproverare immotivatamente la lavoratrice per marginalizzarla e colpevolizzarla.

Leggi e diritti delle lavoratrici in gravidanza

Come già anticipato nel nostro Paese manca una normativa specifica e unitaria che tratti la materia del mobbing. Questo non significa che non esistano norme cui fare riferimento anche a fronte dei diversi pronunciamenti della magistratura nel corso degli anni e il relativo orientamento della giurisprudenza.

A titolo di sintesi si può ricordare la Costituzione italiana (precisamente gli articoli 2, 3, 4, 32, 35 e 41), mentre per le leggi ordinarie si fa solitamente riferimento al Codice civile (articoli 2087, 2103, 1175, 1375, 2043 e 2049).

Ci sono poi lo Statuto dei lavoratori (Legge 300/1970), il Codice della pari opportunità tra uomo e donna (Decreto Legislativo 198/2006) e il Testo Unico per la sicurezza sul lavoro (Decreto Legislativo 81/2008).

Come riconoscere i segnali di mobbing

L’aspetto importante su cui porre l’attenzione è che il mobbing in maternità non si avvale solo di atti propriamente illeciti. Un datore di lavoro, per esempio, ha facoltà di trasferire un dipendente o di richiamarlo per errori commessi, ma ogni azione deve essere motivata e tali condotte non devono essere pretestuose e costituire un mezzo per un altro fine, ovvero quello di danneggiare il lavoratore o la lavoratrice.

Inoltre per poter parlare di mobbing è necessario che l’azione vessatoria abbia un carattere sistematico e, quindi, prolungata nel tempo. In sintesi, richiamando anche la sentenza della Corte di Cassazione del 2014, gli elementi costitutivi del mobbing sono:

  • serie di comportamenti con carattere persecutorio
  • evento lesivo
  • nesso di causalità
  • intento persecutorio

Cosa fare in caso di mobbing in gravidanza o al rientro al lavoro

Di per sé l’ordinamento italiano non riconosce al mobbing lo status di reato penale, ma di illecito civile (quindi oggetto di un risarcimento). Esiste però la possibilità che alcune specifiche condotte riconducibili nell’ampio alveo del mobbing possano essere riconosciute dal codice penale come comportamenti criminosi.

Nel caso si sospettasse (fin dai primi segnali) di essere vittime di mobbing è innanzitutto utile rivolgersi agli organi deputati alla tutela dei lavoratori. Nelle aziende sono previste delle figure (come il responsabile dei lavoratori per la sicurezza) cui poter fare riferimento anche per questi casi. È importante provare l’esistenza degli elementi costitutivi del mobbing così da poter procedere nei confronti dei responsabili di tali azioni.

Parallelamente o in alternativa è consigliato rivolgersi a un avvocato, un sindacato o un’associazione locale dedicata alla tutela dei diritti delle donne così da essere seguite (anche come supporto psicologico se necessario) nelle varie fasi della vicenda.

La legge prevede la possibilità che la lavoratrice si opponga all’assegnazione di compiti e mansioni o trasferimenti considerati ingiustificati ed è quell’azione che viene chiamata eccezione di adempimento (articolo 1460 del Codice civile).

In altri casi può anche valutare le dimissioni per giusta causa mettendo così fine a un rapporto di lavoro insostenibile andando a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso e l’indennità di disoccupazione (la NASpI).

Supporto e risorse utili

Una risorsa cui fare riferimento è la serie Maternità e lavoro di Save the Children con informazioni e materiali sui diritti dei genitori. In questo modo si ha una panoramica dei vari fenomeni, compreso quello del mobbing in maternità, con le strategie e le soluzioni da perseguire.

Parallelamente è importante, anche se estremamente difficile, non cedere e non assecondare le decisioni dei superiori o dei colleghi che stanno facendo del mobbing. Il timore di perdere il lavoro è elevato e concreto, ma è altrettanto elevato e concreto il rischio di ammalarsi (fisicamente e psicologicamente) e non riuscire a seguire il proprio bambino come si vorrebbe.

Quella del mobbing è una realtà, come tutte le forme di persecuzione e discriminazione, odiosa e faticosa da sopportare. Da sole e da soli difficilmente si riesce. È quindi sempre indispensabile richiedere supporto sia prettamente legale per la tutela dei propri diritti di lavoratrice, ma anche psicofisica per la cura della propria persona.

Seguici anche su Google News!
Ti è stato utile?
Non ci sono ancora voti.
Attendere prego...

Categorie

  • Servizi e diritti