In maniera sempre più insistente (pur tra le montagne russe dell’attenzione mediatica) si sente parlare di monogenitorialità e famiglia monogenitoriale. Una insistenza dovuta alla crescente diffusione di famiglie “non convenzionali” o comunque diverse dagli standard che, culturalmente e socialmente, si è abituati a conoscere.

Una crescente attenzione frutto anche della diffusione di queste realtà; basti pensare come a livello europeo il numero delle famiglie monogenitoriali costituisce circa il 4% del totale. In Italia fino a dieci anni fa erano 8 milioni le famiglie monoparentali, a indicare un numero certamente non marginale.

Come è definita una famiglia monogenitoriale?

Quando si parla di famiglia monogenitoriale si fa riferimento a quel nucleo familiare nel quale vi è la presenza di un solo genitore. Si tratta, come vedremo, di una realtà molto variegata accomunata dalla presenza di figli minorenni nelle quali manca uno dei due genitori.

Le tipologie di famiglie monogenitoriali

L’assenza di uno dei genitori può essere motivata da diverse ragioni; per questo motivo per famiglia monogenitoriale si intende un’ampia gamma di realtà e situazioni. La distinzione, come vedremo, non è prettamente statistica, ma legata profondamente a ogni singola realtà definendone le dinamiche e le caratteristiche.

Una famiglia monogenitoriale è quella nella quale il genitore è vedovo, ma anche quella dove i genitori sono separati (o divorziati) e non convivono nella stessa abitazione o, ancora, le persone che adottano un figlio senza essere conviventi o coniugate. Rientrano in questo ambito anche le donne che hanno partorito un figlio senza avere una relazione con il padre biologico, ma anche quelle persone, uomini o donne, che prendono in affido e in adozione un bambino. Sono considerate una famiglia monogenitoriale anche coloro che ricorrono alla fecondazione eterologa o alla gestazione per altri.

La questione della definizione, anche in senso strettamente legale, della famiglia monogenitoriale è legata al riconoscimento del rapporto di filiazione. Perché una famiglia monogenitoriale esista è necessaria la presenza di, almeno, un figlio, ma questo non necessariamente deriva da un apporto biologico. Il concetto di famiglia è molto cambiato nel corso degli anni tanto che non è raro che genitori single abbiano un figlio in un Paese estero tramite tecniche in Italia considerate illegali (come la gestazione per altri) e poi richiedano il riconoscimento del rapporto di filiazione. Riconoscimento che è legato all’interesse del minore, secondo diversi pronunciamenti orientamenti della giurisprudenza nazionale e sovranazionale.

Questo perché il rapporto di filiazione è legato al diritto all’identità personale del minore; diritto che matura anche nel riconoscimento pubblico e legale delle relazioni significative che il minore ha con l’adulto responsabile della sua crescita. Nel nostro Paese tale riconoscimento è attualmente legato al contributo biologico/genetico di uno dei due genitori, anche se molto in tal senso si sta discutendo anche sotto la spinta della stepchild adoption e dalla considerazione che l’adozione mite (l’unica possibile in casi particolari) non produca un vero e proprio rapporto di filiazione, mettendo il genitore non biologico in una situazione di inferiorità.

Vantaggi e svantaggi per i figli

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Fonte: iStock

È sempre molto delicato valutare i vantaggi e gli svantaggi di un tipo di rapporto affettivo com’è quello tra un genitore e un figlio. Lo è perché se è vero che la presenza di due genitori è un valore per il minore lo è anche la qualità del rapporto che essi instaurano con loro.

Diventa quindi difficile fare una valutazione in base al numero dei genitori, sebbene alcuni studi e ricerche scientifiche hanno indagato questo aspetto, considerando anche l’ampia varietà di forme di famiglia monogenitoriale. È evidente la differenza che passa per un figlio tra ritrovarsi con un genitore single perché l’altro è deceduto o avere un genitore perché viveva in un orfanotrofio o i propri genitori naturali non hanno voluto o potuto prendersi cura di lui. In questi casi, quindi, pur tra tutte le difficoltà del caso è chiaro che l’esistenza stessa di una famiglia, è un bene per il minore.

Uno degli aspetti più critici che si trovano a vivere le famiglie monoparentali è sicuramente quello economico, potendo contare su un solo stipendio. A questo va aggiunto quanto rilevato da alcune indagini per cui i bambini che crescono con un solo genitore sono a maggior rischio di avere livelli più bassi di rendimento scolastico, maggiore probabilità di abbandonare la scuola, sviluppare un maggior conflitto con il genitore e andare incontro ad abuso di alcol e droghe.

L’origine del problema è da individuare spesso nello stress del genitore, nella rischio di isolamento e nella relativa perdita di contatti sociali, così come nella gestione del tempo da dedicare al figlio. Condizioni, queste, che rischiano di avere un impatto negativo sullo sviluppo emotivo del bambino.

Famiglia monogenitoriale: leggi, tutele e bonus

La legge italiana, come anticipato, riconosce lo status di famiglia a quelle nelle quali vi è un legame genetico tra genitori e figli o a quelle nelle quali è consentita l’adozione. Per tutte queste, anche in caso di condizione di monogenitorialità, sono previsti diversi contributi economici.

Oltre all’Assegno unico e universale per i figli a carico, il Bonus asilo nido e per forme di assistenza domiciliare e le Prestazioni a sostegno del reddito erogate dall’INPS va considerato il Bonus famiglia. Per l’anno 2022 questo bonus si rivolge anche alle famiglie monoparentali (e a tutte quelle nelle quali i genitori non sono conviventi e uno dei due è tenuto al versamento del relativo assegno di mantenimento) prevedendo l’erogazione mensile di un contributo fino a 800€.

Inoltre è prevista una particolare forma di tutela e incentivo per i genitori di figli disabili. Anche le famiglie monoparentali possono accedere a questo bonus che consiste in un contributo mensile fino a 500€ in presenza di un figlio disabile a carico che abbia un’invalidità di almeno il 60% riconosciuta dall’ASL di competenza.

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