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Il nuovo report Cedap del Ministero della Salute evidenzia un calo delle nascite in Italia nel 2020 e una percentuale dei cesarei troppo alta.
Perchè il calo delle nascite è un problema? E quali sono le misure realmente efficaci per invertire la tendenza nel rispetto della libertà delle persone?
In Italia si fanno sempre meno figli. Una constatazione fotografata anche dall’ultimo report dell’Istat che riferisce di un’ulteriore diminuzione del 3,4% delle nascite nel 2023 rispetto all’anno precedente. Un fenomeno semplicemente da registrare o un problema da contrastare? Parliamone.
I dati dell’Istat registrano anche una diminuzione del numero medio di figli per donna (che arriva nel 2023 a 1,20), mentre rimane stabile l’età media delle donne che partoriscono il primo figlio, ovvero 31,7 anni. Cresce, invece, la percentuale di nascite al di fuori del matrimonio, che nel 2023 raggiunge il 42,4%. Il calo demografico passa anche dalla scelta delle coppie di non avere figli o di averne meno rispetto al passato. Il fenomeno è trasversale in tutta Italia e interessa sia le coppie di italiani che quelle straniere, ma è più marcato nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Centro-Nord.
Questi i numeri che fotografano il fenomeno del calo delle nascite in Italia. Ma perché è importante parlarne? Andando oltre gli slogan e la propaganda è importante comprendere qual è l’impatto della denatalità. Nella tesi di laurea della dottoressa Giorgia Tasco viene spiegato come un numero insufficiente di nascite rispetto ai decessi rende il sistema del welfare e della sanità pubblica non sostenibile, con ripercussioni importanti anche sullo spopolamento di diverse aree territoriali, spesso quelle più fragili.
Avere più anziani con meno giovani lavoratori può inoltre causare un aumento delle tasse oltre che una riduzione delle risorse disponibili per sostenere la previdenza sociale. Un invecchiamento della popolazione con un insufficiente ricambio generazionale provoca anche una minore propensione alla creatività, all’innovazione e allo sviluppo con un importante rischio di decrescita per il PIL.
Ma quali sono le cause e i fattori della denatalità in Italia? L’Istat individua diversi elementi:
Va poi messo in considerazione l’aumento del numero delle persone che decidono di non avere figli o rimandare la volontà di diventare genitori. Qui le cause possono essere diverse e rappresentano una maggiore consapevolezza rispetto al passato sulla decisione libera di diventare madri e padri e non di un passaggio obbligato legato al “diventare grandi” o all’intraprendere una relazione stabile (convivenza o matrimonio).
Dall’analisi delle potenziali cause che incidono sulla denatalità è possibile comprendere come per risolvere il fenomeno non basta un incentivo economico sporadico né un approccio su un singolo aspetto del problema. Oggi si fanno meno figli anche perché chi vorrebbe sperimenta una maggiore difficoltà nel poter perseguire questo obiettivo. Oltre la narrazione romantica della genitorialità (che non va esclusa, ma nemmeno esaltata o assolutizzata) c’è un confronto, a volte crudo, con la realtà. Una realtà fatta di difficoltà a trovare una persona con la quale condividere questa scelta così come una criticità nel diventare indipendenti e poter così perseguire questo obiettivo.
Le politiche di sostegno che vogliano realmente affrontare il problema della denatalità devono avere un approccio sistemico e integrato prevedendo interventi strutturati e a medio-lungo termine che superino, quindi, l’interesse elettorale della singola legislatura.
Alcuni interventi strutturali sono quelli legati, come evidenzia l’Osservatorio nazionale sulle politiche sociali, all’incremento dell’offerta dei servizi per l’infanzia con gli asili nido economicamente accessibili e non un bene di lusso riservato a pochi. Parallelamente si rivela utile l’aumento dell’efficacia dei congedi parentali, la promozione dell’occupazione femminile, la conciliazione tra vita e lavoro con la possibilità per i futuri genitori di accedere a un ambiente di lavoro favorevole.
La scelta non dovrebbe essere tra lavorare o stare a casa ad accudire i figli, sacrificando un’individualità (spesso quella della donna) e un’importante fonte economica, ma tra l’avere figli e il non averli e chi decide di averli essere messo nelle condizioni di poterlo fare nel migliore dei modi. In questo senso è indispensabile anche prevedere misure di decontribuzione fiscale e politiche abitative in grado di favorire l’accesso a una casa.
Andrebbe anche rivista l’intera narrazione sull’essere genitori che nel corso degli ultimi decenni ha mostrato tutta la sua fragilità. Coloro che oggi rimproverano i giovani di non volersi impegnare nel diventare genitori, sono stati padri e madri che hanno (per scelta o per averlo considerato l’unico modello perseguibile) seguito un modello genitoriale che oggi gli aspiranti padri e madri rifiutano. I giovani che sognano di diventare genitori vorrebbero essere padri e madri presenti e non meramente mettere al mondo un futuro contribuente. La maggiore difficoltà nel perseguire questa scelta di vita è dovuta anche alla consapevolezza dell’impegno che essa richiede e dalla volontà di assumersene pienamente le responsabilità, anche e soprattutto emotive. Essere genitori, infatti, non è una mera questione di concepimento e fertilità e se legalmente lo si diventa dopo la nascita del figlio, umanamente il percorso che porta a realizzare un legame solido e positivo è molto più complesso. E tante (troppe) semplificazioni e banalizzazioni che accompagnano la genitorialità non aiutano certo in questo senso.
Per la promozione della crescita demografica e arginare il fenomeno della denatalità si rivela indispensabile la presenza di un sistema di welfare solido e inclusivo. Il welfare è quell’insieme di politiche e servizi pubblici messi in atto (dallo Stato ma anche dalle aziende private) per assicurare il benessere economico e sociale delle persone. È un sistema che include diversi ambiti dall’istruzione alla sanità passando per l’accesso al mondo del lavoro, all’abitazione e alla previdenza sociale.
Garantendo questi servizi essenziali le persone si sentono supportate e sicure nel pianificare un progetto di vita che includa anche la presenza dei figli. Parallelamente un sistema di welfare efficiente contribuisce a ridurre le disuguaglianze (sia quelle economiche che sociali) creando una società nella quale la crescita demografica è realmente sostenibile.
A conferma di quanto appena descritto ci sono i dati Eurostat 2023 sul tasso di natalità in Europa. Come mostra l’elaborazione della Fondazione Openpolis l’Italia è drammaticamente all’ultimo posto di questa classifica e ben al di sotto della media europea. Al contrario ai vertici della classifica ci sono Paesi come Irlanda, Cipro, Francia e Svezia.
Proprio i modelli di Francia e Svezia sono presi a esempio dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS) come modelli di politiche familiari di successo. In Svezia, per esempio, entrambi i genitori godono di 480 giorni di congedo parentale retribuito per ciascun figlio con l’indennità che copre fino al 77,6% dello stipendio. Ci sono asili nido accessibili per più del 54% dei bambini tra 0 e 2 anni con un assegno universale mensile di circa 110€ a figlio.
In Francia, invece, i neogenitori possono lavorare part-time durante i primi anni di vita dei figli senza andare incontro a contraccolpi economici o problemi di ritorno al lavoro. È infatti lo Stato che copre parte della diminuzione del reddito. C’è poi un sistema scolastico che facilita la conciliazione tra famiglia e lavoro, con gli asili nido e i servizi educativi che coprono più del 60% dei bambini fino ai 3 anni. Inoltre è previsto un sistema fiscale che riduce la tassazione delle famiglie in base al numero di figli a carico.
Il confronto con quanto avviene in Italia è piuttosto lampante. Nel nostro Paese, infatti, ci sono solamente dieci giorni di congedo di paternità retribuiti al 100% e una mancanza di posti negli asili nido, impedendo alle famiglie che ne avrebbero diritto anche di accedere ai bonus previsti per questo tipo di servizi.
Il fenomeno della denatalità non interessa solamente l’Italia e l’Europa, con la differenza che il nostro Paese sembra essere incapace di proporre politiche familiari realmente efficaci. È importante che le politiche per arginare il problema della denatalità e invertire la tendenza prevedano investimenti sostenibili, una riforma della tassazione (sia sulle persone fisiche che sul lavoro) e un potenziamento della ricerca e dell’innovazione anche con l’obiettivo di creare nuovi mercati.
È importante porre l’attenzione anche su quanto riportato nello studio del British Medical Journal. Da una parte, infatti, le politiche limitate ai soli incentivi finanziari o ai congedi parentali estesi non sono sufficienti a invertire la tendenza del calo delle nascite. Allo stesso tempo le iniziative messe in atto dovrebbero promuovere la libertà di scelta riproduttiva, garantendo che le persone possano decidere liberamente se e quando avere figli.
Il nuovo report Cedap del Ministero della Salute evidenzia un calo delle nascite in Italia nel 2020 e una percentuale dei cesarei troppo alta.
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