somiglianza tra genitori e figli: da cosa dipende e come cambia nel tempo

In cosa genitori e figli si somigliano e in cosa, invece, differiscono? E quali sono i tratti somatici che si trasmettono da una generazione all'altra? Ecco alcune risposte tra genetica e psicologia.

È tutto/a suo padre. È tutto/a sua madre. Quante volte guardando un figlio, specialmente se piccolo, si sentono ripetere espressioni di questo tipo che evidenziano la somiglianza con i rispettivi genitori? Ma cosa c’è di vero?

Qual è la dimensione genetica e scientifica e quale, invece, quella psicologica e sociale che porta a riscontrare una somiglianza tra genitori e figli?

Da cosa dipende la somiglianza tra genitori e figli?

La somiglianza tra genitori e figli è una questione genetica di DNA. Quello che comunemente sappiamo è che al momento del concepimento si crea una realtà nuova composta da 46 cromosomi di cui 23 provengono dalla cellula germinale maschile e gli altri 23 da quella femminile. Questo significa che ogni individuo ha un patrimonio genetico composto per metà da quello ricevuto dalla madre biologica e per metà ricevuto dal padre biologico. Un aspetto interessante è che questa ereditarietà legata alla somiglianza non è così definita, precisa ed equamente distribuita.

In un articolo pubblicato dall’Università degli Studi di Napoli Federico II, riportando gli elementi di uno studio, leggiamo come solo il 36% dei frammenti di DNA di un figlio corrispondano ai due set di geni dei rispettivi genitori biologici.

Per comprendere cosa determina la somiglianza tra genitori e figli è utile parlare di cosa sono i geni, i cromosomi e gli alleli e fare riferimento alle leggi di Mendel (considerato il padre della genetica) sull’ereditarietà dei caratteri.

Semplificando, possiamo dire che il gene è una porzione di DNA e questo è il materiale genetico della cellula che è contenuto nei cromosomi. I cromosomi, spiega il Manuale MSD, sono strutture all’interno delle cellule che contengono i geni di una persona. Ogni cellula umana contiene 23 coppie di cromosomi (per un totale di 46 di cui 22 omologhi più due cromosomi sessuali).

Uno stesso gene è presente in duplice copia e le copie possono essere identiche (omozigote) o diverse (eterozigote) a seconda degli alleli presenti. Gli alleli sono versioni alternative di un gene in una posizione specifica sul cromosoma e alleli diversi determinano variazioni nelle caratteristiche osservabili di un organismo (fenotipo).

Come spiegato dalla Fondazione Mutagens, con la fecondazione, l’unione di due gameti (uno maschile e uno femminile), si ha quella che in genetica viene chiamata ricombinazione genetica. Le porzioni di cromosomi omologhe vengono scambiate tra di loro ed è il motivo per cui ogni gamete presenta un assortimento di alleli differente rispetto a quello dei cromosomi dei propri genitori.

Per le leggi dell’ereditarietà di Mendel ogni individuo eredita due copie (allele) di ciascun gene una da ciascun genitore. Durante la formazione dei gameti si ha un processo di meiosi per il quale le copie si separano in modo casuale in modo che ogni gamete contenga solamente una copia di ogni gene (prima legge di Mendel).

Inoltre, i geni per tratti diversi vengono ereditati indipendentemente gli uni dagli altri (seconda legge di Mendel). Questo significa che l’eredità di un tratto non condiziona l’eredità di un altro tratto.

Come cambia l’aspetto del neonato nel tempo

Appena nato, l’aspetto del bambino è condizionato dall’esperienza del parto, per cui può avere una pelle ancora rugosa e di colore violaceo che, con il passare delle ore, tende a diventare più uniforme e di colore rosa. Nei primi giorni, il volto del neonato può presentare diverse anomalie o sproporzioni, come quelle della forma del cranio per effetto della pressione subita durante il parto e quella delle orecchie che possono sembrare più grandi rispetto al resto della testa.

È solo nel corso dei primi mesi che il neonato inizia a sviluppare i propri connotati con la pelle che può cambiare di tonalità, i capelli crescono o se ne sviluppano di nuovi rispetto a quelli presenti alla nascita e si definiscono i tratti somatici tipici. Con il passare degli anni prosegue questo processo di sviluppo che non interessa solamente il visto ma anche l’intera struttura del corpo.

A questo proposito è utile ricordare come la genetica non sia esente da condizionamenti. Le ricerche più recenti, come quelle riassunte dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), mostrano come diversi fattori ambientali (tra cui anche l’inquinamento atmosferico, i traumi e gli episodi di violenza) influenzano l’espressione dei geni.

Quali tratti sono ereditari e quali no?

Tratti-ereditari
Fonte: iStock

Uno studio pubblicato su Scientific Reports (di cui dà notizia l’ANSA) riferisce come i tratti del viso che si tramandano maggiormente sono quello della fossetta sottonasale (la zona sopra le labbra), la zona sotto il labro inferiore, gli zigomi, la punta del naso e l’angolo interno degli occhi. Non tutti i tratti, quindi, vengono ereditati tanto che anche i gemelli identici hanno differenze dei tratti del viso, anche se apparentemente non sono percepibili.

La rivista Le Scienze riporta inoltre i risultati del lavoro condotto da un gruppo di ricercatori dell’International Visible Trait Genetics (VisiGen) Consortium che ha consentito l’individuazione di cinque geni che sono coinvolti nella definizione della struttura e del tratto del viso. La morfologia delle ossa cranio-facciali è determinata in gran parte (circa l’80%) geneticamente soprattutto per alcune caratteristiche (la posizione della mandibola e l’altezza del viso).

L’effetto psicologico della somiglianza sui genitori

Nella comprensione di ciò che determina la somiglianza tra genitori e figli non va sottovalutata la dimensione psicologica. Spesso si ha la tendenza, magari inconsapevole, di cercare nel figlio i tratti dei suoi genitori. È un processo inverso quello che compiamo per cui cerchiamo ciò che vorremmo trovare partendo dai volti dei genitori e individuando ciò che nel volto del neonato e del bambino confermi la nostra impressione.

Perché è importante valorizzare l’unicità

Quanto appena detto si riflette poi anche sul carattere, con la volontà di capire se il bambino sia simile alla mamma o al papà (o ai nonni). Al di là della dimensione ironica e innocua, tale atteggiamento rischia di classificare ed etichettare il bambino all’interno di categorie preconcette. Per cui se un elemento del suo carattere è simile a quello di uno dei suoi genitori, anche gli altri dovranno essere tali. Questa impostazione può portare a riflettere sul bambino aspettative che nulla hanno a che fare con la sua identità.

Pretendere (o influenzare le scelte) che il bambino replichi quanto fatto dai genitori o faccia quanto essi non hanno potuto fare significa ignorare l’unicità di quella persona. Tali condizionamenti possono avere ripercussioni psicologiche anche importanti sull’autostima e l’accettazione di sé del bambino, che non penserà mai di essere un individuo autonomo, ma sempre qualcuno legato ai suoi genitori. In una sorta di ereditarietà che risulta più come una condanna e un soffocamento delle potenzialità che un’espressione della libertà che è e deve sempre rimanere come un valore da perseguire.

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