Fare il vaccino Covid ai bambini sta diventando una priorità: cosa dicono gli studi

Mentre la campagna vaccinale sugli adulti corre in Italia e nel mondo, è partita la sperimentazione sui bambini tra i 6 mesi e gli 11 anni. Ma perché è importante fare il vaccino anti-Covid ai più piccoli e come funzionerà? Facciamo il punto.

Mentre scriviamo, nel mondo sono state somministrate 1,37 miliardi di dosi di vaccino anti-Covid tra quelli disponibili e approvati: di questi, 333 milioni sono seconde dosi. E, anche se l’immunità di gregge nel mondo e Italia è ancora lontana, in queste settimane si sta cercando di anticipare l’ondata autunnale del 2021 (che gli esperti danno per certa) predisponendo una campagna vaccinale il più inclusiva possibile. Che possa cioè proteggere anche i bambini dai 6 mesi agli 11 anni e ovviamente gli adolescenti dai 12 ai 16, oltre che le fasce a rischio.

Il vaccino Covid per i bambini è dunque nella fase di sperimentazione sia nei laboratori di Pfizer-BioNtech che in quelli di Moderna, Janssen e Astrazeneca.

Vaccini anti-Covid per bambini, a che punto siamo con la sperimentazione?

Pfizer ha già concluso la sperimentazione sui ragazzi dai 12 e i 16 anni – come riporta Fondazione Umberto Veronesi – ricevendo l’ok alla somministrazione negli Stati Uniti e in Canada grazie ai risultati incoraggianti e positivi, similari a quelli ottenuti sulle fasce d’età più alte. Le altre aziende ci vanno caute, soprattutto con i neonati e i bambini, pur avendo avviato le procedure di testing. Valentina Marino, direttrice medica di Pfizer Italia, ha dichiarato alla stampa che già a giugno 2021 l’EMA potrebbe approvare l’uso del siero sui ragazzi tra i 12 e i 16 anni anche in Italia. Ed è ancora Pfizer a essere in attesa di approvazione per la somministrazione delle dosi necessarie all’immunizzazione nella fascia 2-11 anni dopo le fasi di testing.

KIDCove di Moderna, in parallelo, è il progetto massivo di sperimentazione (in collaborazione con National Institutes of Health) che include anche i neonati a partire dai 6 mesi.

Mentre dunque si procede con le delicate fasi di sperimentazione su una fascia così importante, le preoccupazioni legate alla pandemia si rincorrono, così come quelle sui vaccini. Perché vaccinare i più piccoli, si chiedono i genitori, se questi, come evidenziano molti studi tra cui quello pubblicati sul Center for desease control and prevention che fotografa la situazione attuale e la diffusione del Covid-19 nelle scuole, si ammalano poco o rimangono asintomatici? Secondo un approfondimento di Lancet, i casi di decesso o di gravità tra bambini e adolescenti sono, a questo punto della pandemia, irrisori.

Perché dunque la vaccinazione dei più piccoli è diventata una priorità?

Ecco i motivi individuati dalla rivista scientifica Nature raccogliendo le attuali evidenze scientifiche e facendo previsioni sul futuro prossimo della pandemia che non dobbiamo perdere di vista, neanche in questo periodo di allentamento delle restrizioni.

I bambini si ammalano meno di Covid, ma i casi gravi possono presentarsi

Sebbene uno studio dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma abbia fatto luce sul collegamento tra sindrome di Kawasaki e Covid non riscontrando correlazione tra le due sfere, è chiaro che stati infiammatori anche molto gravi possono essere provocati dal Sars-CoV2 (in particolare la Sindrome da Infiammazione Multisistemica (Mis-C). L’incidenza è molto bassa, ma, purtroppo, capita. Dunque uno dei primi motivi per vaccinare i bambini con i sieri disponibili, dopo che questi avranno superato ogni fase di sperimentazione ricevendo approvazione dagli organi competenti, è quello di abbassare il più possibile le probabilità che il Covid si presenti non in forma asintomatica o paucisintomatica anche nei bambini piccoli.

Non bisogna vanificare la campagna vaccinale

Se è vero che i bambini, secondo diversi studi, non sono super-diffusori del virus, è anche realistico pensare che la loro tendenza ad ammalarsi senza presentare sintomi possa provocare una catena di contagi familiari o nelle scuole difficile da arginare. Una rete che vanificherebbe gli sforzi della campagna vaccinale e – dicono molti esperti – anche la stessa e faticata immunità di gregge. Se i bambini sono asintomatici è più probabile che portino il virus a casa, infettando a loro insaputa parenti la cui immunizzazione (se sono stati vaccinati o si sono ammalati di Covid) non è più ai massimi livelli. E provocando di fatto nuovi cluster preoccupanti.

Stesso vaccino, risposte immunitarie differenti tra adulti e ragazzi

Secondo i dati incrociati da Nature, il sistema immunitario dei bambini è dotato di molte cellule che non hanno mai incontrato patogeni sul loro cammino e proprio per questo, una volta inoculato il vaccino, tendono a fornire una risposta più immediata e decisa. Ed è per questo che gli effetti collegati al vaccino come febbre, spossatezza e dolori muscolari potrebbero presentarsi in modo più massivo nei piccoli: questo però vuol dire che il siero sta funzionando. I test sulla fascia 12-15 che hanno ricevuto il siero Pfizer-BioNTech infine hanno evidenziato di come la risposta immunitaria dei ragazzi sia più forte di quella comparsa in persone più grandi (tra i 16 e i 25 anni). Questo vuol dire che i vaccini attualmente disponibili sono potenzialmente efficaci su una popolazione stratificata e non soltanto sulle fasce di rischio.

I vaccini anti-Covid in età pediatrica sono sicuri?

Si stanno attuando le sperimentazioni proprio per verificare eventuali effetti avversi su un campione molto vasto. Una cosa che, per questioni di tempo, non era stata fatta in prima battuta, così da velocizzare la burocrazia e raggiungere le fasce di rischio prima degli altri. Ora che la popolazione più fragile è stata in buona parte vaccinata (o lo sarà entro l’estate 2021) le aziende stanno lavorando per incrementare la sperimentazione con un unico obiettivo: aumentare il più possibile la copertura per pensare al futuro prossimo in cui la vaccinazione anti-Covid diventerà una prassi così come ad oggi è il vaccino antinfluenzale. E non vanificare sforzi e sacrifici compiuti fino a ora, dando modo alla campagna vaccinale di funzionare per davvero.

Meno diffusione, meno varianti

Come conferma l’approfondimento di Fondazione Umberto Veronesi, una minore proliferazione del virus porta anche a una minore diffusione delle varianti. Questo perché il virus, quando circola, naturalmente cerca di mutare per sopravvivere: bloccare il più possibile questo “viaggio” è fondamentale per evitare che varianti pericolose vanifichino non solo gli sforzi fatti fino a ora, ma anche (e soprattutto) l’efficacia dei vaccini.

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