Tra i pregiudizi probabilmente più duri a morire con i quali ogni donna deve confrontarsi durante la gestazione e nel periodo del puerperio c’è sicuramente quello per cui tutto ciò che interessa la gravidanza è bello e positivo.

Parallelamente, sempre per effetto di una cultura misogina, l’idea che il corpo della donna, una volta diventata madre, non sia più il suo. Tanto per fare un esempio: quanti, anche sconosciuti, sentono il dovere e il bisogno, quando vedono una donna in gravidanza, di toccarle il pancione? Quanti fanno passare il messaggio secondo cui prima viene il bambino e poi la madre, come se le due esigenze non dovessero andare di pari passo? Quanti, ancora, orientando tutto in funzione del feto e del neonato ignorano i bisogni e le necessità della donna?

Ecco, in un quadro di questo tipo la sindrome da burnout trova una sua migliore contestualizzazione e comprensione e il cosiddetto touched out materno una sua specifica espressione molto spesso ignorata, anche dalle neomamme stesse che la vivono e non sanno definire ciò che provano.

Cos’è il touched out materno?

Traducendo letteralmente, touched out significa “toccato” e fa riferimento a una condizione stressante di esaurimento psicofisico cui vanno incontro molte neomamme. Il touched out materno fa riferimento a quella spiacevole sensazione causata dalla costante richiesta di contatto fisico da parte del bambino.

Il neonato, tra l’allattamento al seno e le sue necessità di essere cullato e calmato, fa del contatto fisico una delle sue principali forme di interazione. Se questo è una normale espressione della maternità può, in un contesto di sindrome da burnout, provocare forte stress per effetto di un sovraccarico sensoriale, per il quale anche il minimo tocco risulta invasivo, soffocante e potenzialmente devastante.

Le cause e i fattori di rischio

È difficile individuare cause specifiche legate all’insorgenza del touched out materno in quanto si tratta di una condizione molto particolare e delicata che dipende da numerosi fattori. I principali fattori che possono essere individuati nello spiegare come mai una condizione apparentemente normale e fisiologica possa risultare drammaticamente terribile per le donne possono essere:

  • poppate continue e durature;
  • mancanza di sonno;
  • neonato che chiede di essere ripetutamente tenuto in braccio;
  • presenza di altri figli;
  • difficoltà a ottenere un distacco fisico e una forma di indipendenza dal bambino;
  • poco supporto del partner.

Per comprendere meglio le cause del touched out materno e come questo si verifichi può essere utile riprendere la definizione e le condizioni che portano al fenomeno del burnout. L’Associazione Italiana di Ostetricia, in riferimento alla sindrome da burnout come malattia professionale, la definisce come una “sindrome multifattoriale caratterizzata da un rapido decadimento delle risorse psicofisiche“. Tra le cause specifiche si evidenzia il sovraccarico e la mancanza di controllo, le gratificazioni insufficienti, il crollo del senso di appartenenza e l’assenza di equità; un mix esplosivo che porta a esaurimento, distacco e inefficienza.

Traslando questo approccio professionale al mondo della maternità, possiamo riconoscere facilmente come anche moltissime neomamme vanno incontro a un insieme di doveri e cose da fare per prendersi cura del bambino (sovraccarico), giornate sempre uguali a sé stesse e tutte dedicate ad allattare, cambiare pannolini e intrattenere il neonato (mancanza di controllo), pressioni familiari e sociali dove tutto quello che si fa è dovuto e mai all’altezza (gratificazioni insufficienti), totale svuotamento di sé e mancanza di ogni forma di cura psicofisica personale dove anche il farsi una doccia appare un togliere qualcosa a qualcuno (crollo del senso di appartenenza) e, ancora, un peso della cura del figlio che per tanti, troppi, motivi è più a carico della donna che dell’altro genitore (assenza di equità).

Le conseguenze del touched out materno

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Fonte: iStock

Nel contesto della sindrome da burnout, il touched out materno è responsabile di numerose conseguenze sulla salute e la qualità della vita delle donne. Alcuni studi hanno evidenziato come le donne che vivono una condizione di questo tipo vanno incontro a una riduzione della densità di materia grigia in alcune zone del cervello, specialmente quelle deputate alla risposta allo stress e al controllo delle emozioni.

Parlando del parental burnout, l’American Psychological Association evidenzia tre fasi di questa sindrome. La prima è quella che vede i genitori diventare, complici anche i disturbi del sonno, sempre più ansiosi e irritabili. La cronicizzazione di questa situazione in un periodo di tempo prolungato e indefinito li porta poi a prendere le distanze dai propri figli per andare incontro, nella terza fase, a una perdita di appagamento del proprio essere genitori.

Ci si sente in colpa per non essere completamente disponibili per il proprio bambino e si sviluppano anche tensioni con il proprio partner quando prova a interagire con un abbraccio o con qualunque manifestazione fisica. Nei casi più gravi poi si può andare incontro anche a casi di violenza o negligenza nei confronti dei bambini, ma anche il maturare idee di fuggire o di tentare il suicidio.

Touched out materno: cosa fare?

Bisogna innanzitutto partire da una consapevolezza: il touched out materno non è una colpa. Né del neonato né tantomeno della madre. Il grave problema dei pregiudizi sulla gravidanza e la maternità (e la genitorialità in genere) è legato a come queste distorsioni della realtà diventino dei convincimenti anche per chi li subisce. Per cui le donne che vivono il touched out materno si sentono in colpa, credono di non essere un buon genitore, di non essere all’altezza e, ancora, di aver sbagliato a diventare madri.

La realtà è invece spesso quella di donne che vivono una condizione così profondamente destabilizzante che porta a sviluppare pensieri di questo tipo. Ma tali pensieri sono una conseguenza, non la causa.

Il secondo passo da fare, ed è forse il più difficile, è quello di inserire nella propria routine quotidiana dei momenti di pausa dalla cura del bambino per dedicarsi esclusivamente a se stesse. Momenti di pausa che non sono per cucinare o fare le faccende domestiche, ma per curare la propria dignità di persone. Organizzarsi in modo tale che, nel contesto della propria situazione personale e familiare, il bambino stia anche con l’altro partner o con un caregiver di riferimento non è cattiveria o mancanza di amore nei suoi confronti. Ciò di cui il bambino ha bisogno è di una madre sana e serena; una madre che non si prende cura di sé rischia di privarsi di quelle risorse e quelle capacità necessarie per accudirlo.

Parlarne con il partner è un altro degli step utili a richiamare l’attenzione su un problema comune e su responsabilità condivise, individuando strategie utili a garantire alla madre il tempo e gli spazi per non esaurirsi e peggiorare ulteriormente la situazione.

Il ricorso a un professionista per l’assistenza psicologica si rivela prezioso sia nella prospettiva di contrastare il fenomeno del touched out materno che di prevenire situazioni peggiori sia per la sicurezza e la serenità della donna che per l’incolumità del bambino.

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