Riconoscere la sindrome di Down è abbastanza semplice, se si osservano i tratti fisici caratteristici di questa condizione, tra cui gli occhi a mandorla. Eppure per molte persone definire quella che è nota anche come Trisomia 21 è difficile. No, non è una malattia, ma una condizione genetica.

In ogni persona ci sono 46 cromosomi divisi in coppie e numerati da 1 a 23. Ognuno di questi incide sulle caratteristiche che rendono una persona unica e diversa da tutte le altre.

“Nella coppia di cromosomi numero 21 di chi ha la sindrome di Down, ci sono 3 cromosomi invece di 2”. Questo è il motivo per cui è conosciuta anche come Trisomia 21, come riporta l’Aipd, Associazione Italiana Persone Down. La scoperta è stata fatta dallo scienziato inglese John Langdon Down e risale al 1866, ma solo in seguito, nel 1959, il genetista francese Jérôme Lejeune ha individuato il legame tra il cromosoma in più e la sindrome.

Ma perché un bambino nasce con la Trisomia 21 e quali sono le aspettative di vita? Approfondiamo questi e altri aspetti.

Le cause della sindrome di Down

È lecito chiedersi perché alcuni bambini nascano con la sindrome di Down, ma al momento non sono ancora state individuate, come evidenziato da Coordown, il Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down, cause certe che determinano le anomalie cromosomiche.

Le trisomie sono una costante nelle diverse popolazioni, nel tempo e nello spazio e fino a pochi anni fa nessuna causa, tra cui agenti chimici, radiazioni, infezioni virali, alterazioni metaboliche o endocrine materne, è stata confermata.

In verità, lo stesso Lejeune determinò che a causare le manifestazioni fisiche della sindrome di Down, in particolar modo neurologiche, sarebbe proprio un’alterazione del metabolismo. L’osservazione del genetista si traduce con un accumulo di sostanze, che intossicherebbero i neuroni, provocando in questo modo una disabilità intellettiva.

La ricerca di Lejeune è stata ripresa negli ultimissimi anni da studiosi, che hanno cercato di individuare le effettive cause della sindrome di Down. Il metabolismo sembra essere davvero la chiave, come sostiene la Fondazione Veronesi, che esorta anche a stanziare maggiori fondi per la ricerca.

Intanto, un importante studio della Tufts University School of Medicine ha scoperto come nei feti affetti da trisomia 21 ci sia “un eccessivo stress ossidativo, ovvero una produzione incontrollata di molecole tossiche che danneggiano le cellule”.

In più, nel sangue e nelle urine dei bambini con sindrome di Down il professor Pierluigi Strippoli dell’Università di Bologna ha individuato un profilo metabolico caratteristico indipendentemente dalla loro età, sesso e stato di digiuno.

Ora la ricerca si sta concentrando sul possibile collegamento tra precise alterazioni metaboliche individuate con i geni responsabili riscontrati nel cromosoma 21 e sull’individuazione della zona del cromosoma maggiormente critica.

Scovate le reali anomalie, sarà possibile correggere le problematiche a livello metabolico. Il gruppo di ricerca del professor Strippoli, in collaborazione con l’Università di Firenze, di Padova e di Cork in Irlanda, stanno progettando un modo per rimuovere in vitro la regione critica e studiarla più approfonditamente.

È bene sapere anche che si tratta di una condizione genetica, ma non ereditaria, almeno nel 98% dei casi. Esistono, infatti, 3 tipi di Trisomia 21: libera completa (95%), libera in mosaicismo (2%) e da traslocazione (3%). La Trisomia 21 da traslocazione può essere, in alcuni casi, ereditaria.

Sindrome di Down: screening ed esami in gravidanza

L’incidenza della sindrome di Down è legata all’età materna: con l’aumentare dell’età aumenta anche la probabilità di avere un figlio con sindrome di Down. In particolare, a 20 anni la probabilità è di 1 su 1.500 circa, a 30 di 1 su 900, a 35 di 1 su 500, a 40 di 1 su 110 e a 45 di 1 su 30.

Per diagnosticare in gravidanza se il neonato avrà la Trisomia 21 è possibile infatti sottoporsi a dei test di screening non invasivi, detti anche di probabilità, quindi che non hanno valore diagnostico.

Facciamo riferimento alla translucenza nucale, il duotest, il tritest e il più recente test del DNA fetale. Gli unici esami certi, invece, sono la villocentesi e l’amniocentesi, che sono test invasivi.

Translucenza nucale

Il test della translucenza nucale si effettua tra l’11esima e la 14esima settimana. Consiste in un’ecografia addominale durante la quale l’ecografista noterà lo spessore della plica nucale del feto, comparando i suoi valori con quelli base.

In genere, saranno compresi da 1,1 a 1,4 millimetri; superati i 2,5 millimetri, è probabile che il feto presenti anomalie.

Duotest o bitest

Il duotest, o bitest, è spesso abbinato alla translucenza nucale e per questo si parla di test combinato. È un esame di screening che prevede il prelievo di sangue materno.

Va effettuato entro la 14^ settimana e serve a misurare due proteine, ovvero la Frazione beta libera della gonadotropina corionica e la Papp-a, Proteina plasmatica A associata alla gravidanza.

Tritest

Anche il tritest si effettua sul sangue della gestante e prende come riferimento i valori di tre proteine: alfafetoproteina, gonadotropina corionica ed estriolo non coniugato. Si effettua dalla 15^e la 18^ settimana di gravidanza e, per avere una lettura dei valori completa, si effettua anche un’ecografia per ottenere maggiori parametri di riferimento.

Test del DNA fetale o Nipt test

Il più recente e accurato è certamente il test del DNA fetale, chiamato anche Nipt test, e si effettua intorno alla 12esima settimana di gestazione. Si preleva il sangue della mamma e ha un’attendibilità stimata per la predizione della sindrome di Down pari al 99,2% e un’incidenza bassa di “falsi positivi”.

Si tratta di un esame a pagamento e i costi sono abbastanza alti: dai 350 fino ai 1.000 euro.

Villocentesi

La villocentesi, o prelievo dei villi coriali (CVS), si effettua tra la 12esima e la 13esima settimana di gestazione. Consente una diagnosi precoce e si effettua con una puntura transaddominale e la sua affidabilità è pari al 99%.

Tuttavia, essendo un esame invasivo, non è consigliato a tutte le donne, ma a coloro che hanno presentato una situazione ambigua in fase di bitest e translucenza nucale e in soggetti con più di 35 anni e che hanno familiarità con alcune malattie genetiche e cromosomiche.

Amniocentesi

L’amniocentesi, che si effettua tra la 16^ e la 18^ settimana, ma anche successivamente, prevede il prelievo di liquido amniotico per studiare la struttura cromosomica. In questo modo sarà possibile individuare le principali anomalie, tra cui appunto la sindrome di Down.

L’amniocentesi è offerta gratuitamente alle donne che presentano un rischio aumentato o per approfondire l’esito degli esami di screening.

Sintomi della sindrome di Down nel neonato e nel bambino

sindrome di down

Oltre a tratti somatici piuttosto evidenti, i neonati e bambini con sindrome di Down presentano anche caratteristiche di sviluppo fisico e mentale peculiari.

Sin da piccolissimi i bimbi con sindrome di Down piangono meno e possono presentare difetti cardiaci e gastrointestinali. Tendono ad avere testa piccola, volto ampio e piatto con occhi inclinati e naso corto.

Alcuni neonati con sindrome di Down, però, alla nascita possono presentare tratti identici a quelli degli altri bambini, mostrando in seguito, nel corso dell’infanzia i segni delle persone con Trisomia 21. Possono avere ad esempio le articolazioni del collo poco stabili e soffrire di otiti ricorrenti o presentare perdita dell’udito.

Anonimo

chiede:

Dal punto di vista mentale, il quoziente intellettivo è variabile. I bambini con sindrome di Down spesso presentano ritardi nello sviluppo del linguaggio e nelle abilità motorie, così come è possibile che siano invece iperattivi.

Sindrome di Down: le aspettative di vita

In Italia, ogni 1.200 bambini nati uno ha la sindrome di Down e la maggior parte della popolazione con la Trisomia 21, circa 38.000, ha più di 25 anni.

Uno degli stereotipi più comuni è che le persone con la Trisomia 21 non vivono a lungo. Si tratta, in effetti, di una vecchia convinzione che non tiene conto dei numerosi progressi compiuti dalla medicina.

In passato le persone con sindrome di Down, perlopiù bambini e giovanissimi, morivano presto per deformazioni cardiache. L’aspettativa di vita negli anni ’40 era di 12 anni, di 33 negli anni ’80.

Oggi, i difetti respiratori e, soprattutto, cardiaci, sono facilmente curabili e, laddove necessario, operabili. Infatti, come riporta ancora l’Aipd

La durata della vita è aumentata enormemente. Oggi, grazie al progresso della medicina, l’80% delle persone con sindrome di Down raggiunge i 55 anni e il 10% i 70 anni. Si stima che in un prossimo futuro la sopravvivenza raggiungerà quella della popolazione generale.

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