Vogliamo fin da subito con una considerazione: l’obiettivo di questo approfondimento non è quello di esprimere giudizi o sentenze. L’interesse verso la placentofagia è molto alto (anche stando alle rilevazioni statistiche sulle donne che la praticano) e per questo vogliamo conoscerne le ragioni e le risposte o indicazioni mediche e scientifiche a riguardo.

L’interesse verso la placentofagia si concentra specialmente quando capita che un personaggio famoso annuncia di averla praticata. E come spesso accade si scatena il dibattito tra favorevoli e contrari, con entrambi gli schieramenti che il più delle volte si esprimono senza cognizione di causa.

Vogliamo quindi provare a fornire gli elementi per capire questo fenomeno, anche da un punto prettamente antropologico.

Placentofagia: cosa significa?

Cosa si intende quando si parla di placentofagia? In maniera molto semplice del consumo (mangiare) la placenta dopo il parto.

È una pratica molto diffusa tra i mammiferi, ma che molto raramente si riscontra negli esseri umani, siano essi primitivi o contemporanei. Un’indagine etnografica interculturale svolta su 179 società ha rilevato come non ci sia alcuna conferma della diffusione di questa pratica tra le diverse razze umane.

A questo proposito il CNR afferma che: “La costante presenza della placentofagia nei mammiferi, la sua apparente scarsità nelle scimmie e la sua assenza o estrema rarità nei primati umani, provocano affascinanti interrogativi sulle ragioni e sulle origini di questa disparità”.

Partiamo da qui: perché mangiare la placenta suscita così tanto fascino?

Placentofagia: origine e storia

Sull’origine di questa pratica c’è molta discussione nel mondo scientifico, essendo rarissime le tracce di placentofagia come pratica tra gli esseri umani. È interessante comprendere le ragioni che motivano tale scelta e capire anche come questo avviene. Il principio su cui si basa la pratica di mangiare la placenta deriva dall’assunto per cui, siccome la placenta ha, tra gli altri, il compito di trasferire i nutrienti dalla madre al bambino, allo stesso modo, dopo il parto, l’assunzione della placenta trasferirebbe dei vantaggi alla madre.

L’Università del Nevada a Las Vegas ha condotto un sondaggio nel quale ha rilevato alcune caratteristiche che accomunavano le donne che hanno praticato la placentofagia. Esse erano sposate, con un’istruzione universitaria e tendenzialmente portata a preferire il parto in casa.

Del campione che ha partecipato al sondaggio un numero elevato (il 76%) ha dichiarato che l’esperienza della placentofagia è stata molto positiva. Nonostante il sapore o l’odore non proprio piacevole la pratica ha lasciato un effetto piacevole. Anche se non mancano testimonianze negative di come tale pratica abbia costituito un vero e proprio trauma.

La placenta viene mangiata sia cotta che cruda, ma prevalentemente sotto forma di capsule più digeribili, ma c’è anche chi ne propone l’assunzione tramite frullati e centrifughe. I benefici di questa pratica, secondo i suoi sostenitori, sono quelli relativi alla prevenzione della depressione post partum, al sollievo dal dolore, all’anemia, alla riduzione della contrazione uterina, alla ripresa del normale ciclo mestruale e alla maggior produzione di latte materno.

Mangiare la placenta fa bene?

Di tutto quello che abbiamo visto quali sono i riscontri medici? Tutte le ricerche che sono state fatte ribadiscono che si tratta di una pratica la cui efficacia non è stata mai dimostrata e i cui effetti positivi facciano riferimento più a un’esperienza limitata e a una sorta di auto-diagnosi che le donne hanno effettuato.

Anzi, c’è da dire come in alcuni casi segnalati dalla Fondazione Veronesi (rari, ma comunque da segnalare) mangiare la placenta ha provocato una sepsi neonatale (un’infezione invasiva) in un bambino la cui madre aveva ingerito capsule contenenti concentrati di placenta. Ci sono inoltre studi e ricerche che individuano come tale pratica possa essere veicolo di cambiamenti ormonali e di infezioni da microrganismi patogeni (particolarmente resistenti agli antibiotici), le cui conseguenze sulla salute delle donne è ancora tutta da indagare. Va inoltre ricordato come si tratta di una pratica non regolamentata dal punto di vista medico.

Dal punto di vista antropologico, invece, va fatto un discorso a parte. Se è vero che una pratica diffusissima tra i mammiferi ed è quasi sempre presente nei mammiferi terrestri e se è altrettanto vero che ci sono culture che vedono nella placenta una “realtà viva”, le indagini etnoculturali condotte sull’argomento hanno riportato come questa pratica non rientri nelle tradizioni di nessuna cultura umana, né preistorica né contemporanea.

In conclusione, quindi, possiamo segnalare come gli studi scientifici ribadiscono categoricamente che la placentofagia non è una pratica sana con benefici documentabili e anzi potenzialmente dannosa, tanto che andrebbe scoraggiata il più possibile. Il successo della placentofagia, soprattutto negli Stati Uniti, è dato sia dalla notorietà che alcuni personaggi famosi del mondo dello spettacolo hanno dato alla pratica, sia dai benefici che si dice essa possa portare.

La gravidanza e il periodo immediatamente successivo è particolarmente delicato, sia dal punto di vista fisico che psicologico, ed è quindi comprensibile il desiderio di cercare aiuti e forme di prevenzione ai fenomeni tipici che colpiscono le neomamme.

Questa consapevolezza, più che portare a condannare tali pratiche, dovrebbe mirare a sviluppare forme di sostegno, anche e soprattutto sociali e psicologiche, che consentano alle donne che vivano delle criticità di trovare il giusto supporto. Anche per evitare che possano affidarsi a trattamenti dalla dubbia efficacia o pericolosi per la loro salute.

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