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Da distinguere rispetto all'endometriosi, scopriamo cause, sintomi e cure disponibili per l'infiammazione del rivestimento interno dell'utero.
Torniamo a occuparci dell’utero e in modo particolare del suo rivestimento interno, l’endometrio. Questa mucosa è estremamente importante perché, attraverso le modificazioni cui va incontro nelle diverse fasi che lo interessano durante il ciclo mestruale permette e favorisce l’impianto della cellula uovo fecondata e ne sostiene l’iniziale sviluppo. Disturbi all’endometrio sono quindi potenzialmente causa di problemi di infertilità, sanguinamento uterino anomalo e, se non trattati, complicanze più gravi.
Tra queste condizioni su cui porre l’attenzione c’è l’endometrite, l’infiammazione dell’endometrio. È da distinguere dall’endometriosi, come precisato dal Cleveland Clinic, in quanto l’endometriosi è lo sviluppo di parti di endometrio fuori dalla cavità uterina (come nelle ovaie o nelle tube di Falloppio), mentre l’endometrite è propriamente un’infiammazione del rivestimento dell’utero. Una condizione molto particolare che richiede estrema attenzione.
Nonostante l’utero, come evidenziato in questo studio, sia un ambiente tipicamente asettico, la migrazione prossimale dei microbi dalla vagina e dalla cervice può causare un’infiammazione o un’infezione. Propriamente quindi l’endometrite è un’infiammazione infettiva dell’endometrio.
Per comprendere meglio questa condizione è utile ricordare la differenza tra infezione e infiammazione. La prima è il fenomeno di reazione che l’organismo mette in atto a seguito dell’invasione da parte di un microrganismo patogeno (virus, batteri, eccetera). L’infiammazione, che può non essere causata da agenti patogeni, è un meccanismo di difesa tramite il quale l’organismo tenta di riparare il danno causato da vari agenti (fisici, chimici o biologici). L’infiammazione, come nel caso dell’endometrite, può essere causata da un’infezione.
Generalmente l’infezione responsabile dell’endometrite è di origine batterica e può svilupparsi a seguito di infezioni a trasmissione sessuale, tubercolosi e altri eventi (come il parto) che modificano l’ambiente vaginale. L’endometrite post-partum, come spiegato dal Manuale MSD, è un’infezione causata da batteri che risalgono dal tratto inferiore dell’apparato genitale (o gastrointestinale). Ha un’incidenza del 15-20% nei parti cesarei non programmati (quelli eseguiti dopo l’inizio del travaglio), del 5-15% nei parti cesarei programmati e dell’1-3% nei parti vaginali.
Questa condizione può essere favorita da un travaglio prolungato, dalla rottura prolungata delle membrane, da una corioamniosite, da un’emorragia post-partum, da una vaginosi batterica, dal diabete, dall’anemia o dalla giovane età della partoriente. Anche l’inserimento di corpi estranei nell’utero (come quelli per il monitoraggio materno e fetale invasivi) o la rimozione manuale della placenta sono considerati fattori di rischio per l’endometrite post-partum.
L’endometrite non associata alla gravidanza, sia essa acuta o cronica, si sviluppa a seguito di un’alterazione del microbiota endometriale. Nella maggior parte dei casi la forma acuta è dovuta a infezioni a trasmissione sessuale (principalmente la clamidia), mentre nelle forme croniche i principali microrganismi responsabili sono Streptococcus, Enterococcus, Escherichia coli, Klebsiella, Staphylococcus, Mycoplasma, Ureaplasma, Gardnerella, Pseudomonas e lieviti.
Tra i principali segni e sintomi dell’endometrite rientrano il dolore pelvico, il sanguinamento vaginale, anomala produzione di secrezioni vaginali, gonfiore dell’addome, costipazione e febbre.
La diagnosi dell’endometrite post-partum e di quella acuta si basa sull’anamnesi della paziente con la valutazione dei fattori di rischio e l’esame obiettivo. Nell’endometrite cronica, invece, si effettua un esame istologico o un’isteroscopia. L’ecografia, sebbene possa mostrare un endometrio più spesso e irregolare, non è sufficiente per la conferma diagnostica.
Un aspetto molto importante, essendo una condizione che colpisce l’endometrio, è quello legato al concepimento e alla gravidanza. L’endometrite può essere acuta (l’infezione è presente da meno di 30 giorni) o cronica (l’infezione dura da più di 30 giorni) e correlata o meno alla gravidanza.
Specialmente per quel che riguarda l’endometrite post-partum e quella acuta, le conseguenze possono essere molto gravi, addirittura fatali. Se non trattata, infatti, l’endometrite post-partum ha tassi di mortalità del 17%, mentre quella acuta può portare a infezioni genitali da clamidia o gonorrea.
Nell’1-4% dei casi le pazienti vanno incontro a complicanze come sepsi, ematomi, ascessi, fascite necrotizzante e tromboflebite pelvica settica per le quali, se l’infezione ha prodotto una raccolta di liquidi drenabili, richiede l’intervento chirurgico.
L’accesso al trattamento è l’elemento che determina il miglioramento della prognosi. Questa è generalmente eccellente per la cura dell’endometrite. Nell’endometrite post-partum si procede con antibiotici per via endovenosa in regime ospedaliero, in quella acuta con la somministrazione di antibiotici per via orale in regime ambulatoriale, mentre per la forma cronica con la doxiciclina (antibiotico ad ampio spettro).
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