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Un rischio frequente nei parti vaginali che può provocare conseguenze anche gravi; ecco cosa c'è da sapere.
Poniamo l’attenzione sul cosiddetto rettocele post parto, una condizione che può interessare le donne dopo il travaglio proprio a seguito degli sforzi compiuti per favorire e consentire la discesa del bambino.
Il rettocele è, come riporta il Cleveland Clinic, una condizione nella quale il tessuto che si trova tra il retto e la vagina si indebolisce causandone determinando lo spostamento di questi organi che, nelle forme più gravi, possono anche cadere uno sopra l’altro.
Si tratta di una forma di prolasso degli organi pelvici che, per effetto di un pavimento pelvico debole, non hanno più un adeguato supporto e non resistono alla forza di gravità, discendendo dalla loro posizione originaria e fuoriuscendo nel canale vaginale. Per questo motivo il rettocele è chiamato anche prolasso della parete vaginale posteriore.
Come precisa il Manuale MSD solitamente il rettocele si verifica contemporaneamente al cistocele (che riguarda la vescica), l’uretrocele (che interessa l’uretra) e l’enterocele (che coinvolge l’intestino tenute e il peritoneo).
Sostanzialmente, il rettocele è una conseguenza del cedimento dei muscoli elevatori dell’ano, che si può verificare per diverse cause. Il parto vaginale, specialmente nelle gravidanze successive alla prima, un travaglio prolungato e bambini di grandi dimensioni possono distendere eccessivamente i muscoli del pavimento pelvico causandone l’indebolimento responsabile del rettocele.
Anche la costipazione cronica con il reiterato sforzo per defecare, una tosse croniche, la bronchite e diverse malattie respiratorie possono affaticare il pavimento pelvico. Il suo indebolimento è legato anche all’età e in modo particolare con la menopausa si hanno una serie di cambiamenti che possono causare la diminuzione del tono muscolare del pavimento pelvico. Anche una condizione di obesità o l’essersi sottoposte a un intervento chirurgico che ha coinvolto gli organi pelvici (come nel caso di un’isterectomia) aumenta il rischio del rettocele.
I sintomi, come anticipato, possono essere assenti nelle forme lievi o più evidenti in quelle gravi. Si va da una leggera sensazione di pressione nella zona della vagina o del retto a difficoltà a defecare (stipsi) o defecazione incompleta tanto che si rende necessaria la pressione manuale della parete posteriore della vagina per riuscire a farlo in maniera completa. In presenza di un rettocele si possono sperimentare anche disagi durante i rapporti sessuali e la percezione di una sensazione di indebolimento della muscolatura vaginale.
La gravità del rettocele (e di qualsiasi prolasso della parete vaginale) si misura seguendo il Pelvic Organ Prolapse-Quantification system (POP-Q). Secondo questa classificazione esistono cinque diversi stadi di gravità:
Per la diagnosi si effettua un esame obiettivo del canale vaginale per notare i segni del prolasso.
Come suggerisce questo studio, il rettocele è una condizione comune tra le donne che hanno avuto almeno un figlio, e si pensa che questo avvenga per la rottura o la distensione del setto rettovaginale che si può verificare a seguito del parto naturale. In realtà le cause potrebbero essere più complesse, tanto che il parto sembra avere un ruolo distinto nella patogenesi del rettocele e non è, quindi, l’unica causa da contemplare.
Nel parto vaginale sono diversi gli elementi che contribuiscono al possibile sviluppo del rettocele. L’attività ormonale tipica della gravidanza, infatti, ammorbidisce e rende più flessibili i tessuti del bacino e la crescita del feto nel corso delle settimane di gestazione richiede un aumento del lavoro di questi muscoli per sostenerne il peso.
Gli sforzi tipici che si verificano durante il travaglio si inseriscono quindi in questo quadro di generale sovraccarico, motivo per cui è più probabile che possa verificarsi il prolasso degli organi pelvici.
Esistono diverse tipologie di trattamento per il rettocele post parto e variano in base ai sintomi e alla gravità del prolasso e mirano a migliorare la qualità della vita della donna. La prima possibilità, per le forme meno gravi di rettocele, è quella legata agli esercizi di rafforzamento del pavimento pelvico. Gli esercizi di Kegel, per esempio, sono utili per potenziare il tono muscolare e migliorare il controllo dei muscoli pelvici.
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Parallelamente il medico può prevedere il ricorso ai pessari. Si tratti di particolari dispositivi in silicone che vengono inseriti all’interno della vagina con lo scopo di mantenere l’anatomia delle strutture prolassate e di riposizionarle.
Infine vi è il ricorso all’intervento chirurgico, che si rivela utile sia per alleviare i sintomi più gravi che per affrontare quelli che, altrimenti, non sarebbero risolvibili. Esistono diverse tipologie di approccio chirurgico e vanno dalla riparazione vaginale (colporrafia anteriore o posteriore), la sospensione o riparazione dell’apice vaginale e la chiusura della vagina con l’utero in posizione o dopo la sua rimozione (colpocleisi).
La scelta del tipo di intervento dipende dalla gravità del rettocele, da eventuali altre condizioni, dall’invasività dei sintomi e dall’età della paziente. Nelle donne che desiderano avere una successiva gravidanza, infatti, il trattamento chirurgico viene rimandato il più possibile in quanto il parto potrebbe lacerare la riparazione effettuata.
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