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La paternità attiva è quell'approccio in cui il padre non svolge un ruolo di spettatore o di semplice aiutante, ma esercita pienamente e consapevolmente la sua dimensione di genitore.
Parlare di gravidanza e genitorialità non significa rivolgere l’attenzione solamente alla madre, ma anche al padre. Egli, infatti, non svolge una parte di mero spettatore o assistente (come una certa narrazione e cultura continua a far intendere), ma ha un ruolo suo specifico anche durante le settimane della gestazione quando il suo contributo sembra essere inesistente.
Gli uomini, segnala Save the Children, sono sempre più presenti nella vita dei loro figli, ma nonostante gli importanti progressi fatti nel corso del tempo, non siamo ancora di fronte a una reale parità di genere. Tanto che la transizione verso la genitorialità non è così semplice neanche per gli uomini.
È importante, quindi, comprendere meglio cosa significhi oggi essere padri, come vivere la paternità attiva, anche nel contesto socioculturale in cui siamo immersi. A differenza del passato, infatti, molti più uomini rifiutano il concetto patriarcale della paternità, intesa come capo della famiglia e come figura autoritaria (più che autorevole) che ha, anche per ragioni economiche, un ruolo predominante sia nelle dinamiche con il partner che con i figli.
La paternità attiva, come discusso nel portale Familienportal NRW, promuove il coinvolgimento dei padri nella cura e nell’educazione quotidiana dei figli, tradizionalmente invece riservata alle figure femminili (madri, nonne, maestre).
Partendo dal presupposto, come evidenziato in questo studio, che il coinvolgimento del padre durante la gravidanza ha un impatto positivo sia sulla salute materna che su quella del nascituro. La presenza attiva del padre, infatti, riduce il rischio che le gestanti vadano incontro a comportamenti tossici durante la gravidanza.
Uno studio pubblicato sul BMC Pregnancy and Childbirth riporta alcuni esempi di cosa significa paternità attiva. Un partner presente e coinvolto direttamente è quello che supporta la donna nell’affrontare le difficoltà della gravidanza, comprese quelle emotive (senza compatirla) che pratiche (senza svilirla). Il suo contributo passa anche nel condividere le decisioni importanti (come la creazione di un piano di nascita, la scelta del nome da dare al bambino, il luogo dove partorire, eccetera). Inoltre con il suo coinvolgimento reale e interessato (e non di facciata) sostiene la donna nelle paure tipiche della gravidanza, la rassicura sulla sua capacità di essere una buona madre e comprende come alcuni comportamenti possano essere condizionati dalle fluttuazioni ormonali.
Il supporto dei padri durante la gravidanza passa anche nella condivisione delle scelte alimentari adeguate, nello svolgimento dell’esercizio fisico e nel partecipare attivamente alle varie visite prenatali.
Superando quella retorica immagine per la quale il padre detta le regole e la madre è quella dolce e amorevole con i figli, è fondamentale riscoprire come il ruolo del padre possa essere molto diverso da questo stereotipo. A beneficiarne non sono solamente i bambini, ma anche gli uomini stessi che riescono in questo modo a esprimere meglio, pur nelle difficoltà culturali e sociali, il loro desiderio di stare con i propri figli ed essere parte integrante, al pari della madre, della loro crescita.
Il legame tra padre e figlio si instaura sin da subito definendo una relazione stabile e duratura che influenza positivamente il benessere psicologico ed emotivo di entrambi. In modo particolare i bambini che hanno un legame affettivo forte con il proprio padre hanno un migliore sviluppo sociale ed emotivo con una maggiore fiducia e autostima. La presenza del padre sin dai primi giorni di vita è inoltre associata a risultati migliori in termini di sviluppo linguistico e cognitivo.
La qualità del legame nei primi giorni influisce inoltre sulle relazioni future e sulla capacità del bambino di instaurare legami con gli altri. Senza sottovalutare come un legame positivo con il padre può favorire comportamenti sani riducendo il rischio di problemi comportamentali durante l’infanzia.
Come anticipato essere padri oggi è per certi aspetti più difficile che in passato. Lo è sostanzialmente per due motivi strettamente collegati tra loro. Da una parte, infatti, i padri oggi non hanno un modello unico di riferimento e si interrogano costantemente su come essere utili alla crescita dei propri figli in maniera sana e costruttiva. Questo, dall’altra parte, implica un impegno maggiore e soprattutto uno scontro (più che un confronto) con quelle dinamiche di paternità che hanno caratterizzato il passato.
Non si può infatti non riconoscere l’impatto devastante di quella cultura per cui l’uomo virile è quello che non parla di sé, dei suoi sentimenti e che non debba provare (figuriamoci esprimere e comunicarle) le proprie emozioni. L’uomo nella narrazione comune è quello che detta le regole, risolve i problemi, manda avanti la famiglia e si occupa della dimensione pratica della crescita dei bambini. È forzatamente escluso da ogni forma affettiva ed emotiva, tanto che un padre che gioca con i figli, parla con loro, li accompagna e va a riprendere a scuola, parla con gli insegnanti ed è presente alle feste di compleanno è un “mammo”. La distorsione è molto profonda che spesso è difficile superarla proprio per l’assenza di elementi con cui analizzare e comprendere il fenomeno.
Non è un caso che molti nuovi padri si sentano sopraffatti dalle aspettative su come dovrebbero essere e sperimentando sulla propria pelle tante contraddizioni e tensioni. Per le medesime dinamiche che aggravano la disparità di genere nei confronti delle donne, molti nuovi padri vanno incontro a stress e ansia per l’incapacità di coniugare come vorrebbero (e dovrebbero) la vita familiare con quella professionale. Tutto questo si traduce anche in un’insicurezza sulle proprie capacità di prendersi cura del bambino e andare incontro a problemi di salute mentale (come la depressione post-partum) molto spesso sottovalutata o addirittura ignorata proprio perché non si pensa che un uomo possa sperimentare quelle difficoltà.
Un elemento cruciale per affrontare questa situazione è quello di investire sul rapporto di coppia con il partner e sull’avere figure amicali a cui fare costantemente riferimento. Il partner e gli amici sono le persone con le quali poter parlare liberamente e ai quali esprimere dubbi, insicurezze e paure, anche senza dover necessariamente individuare una soluzione a un problema. L’elaborazione di un fenomeno e la maturazione della propria identità di genitore passano anche dal parlare senza pregiudizi dei propri problemi.
Parallelamente può rivelarsi utile richiedere un aiuto professionale (superando anche qui tanti stereotipi) e frequentare gruppi di sostegno e realtà nelle quali non vi è la pretesa di essere dei padri modello sicuri di sé e sempre impeccabili.
Sebbene molto ci sia ancora da fare in questo senso, non mancano le iniziative a favore della paternità attiva. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS), esponendo il progetto PARENT (finalizzato a promuovere la parità di genere e l’equa condivisione dei carichi di lavoro familiare tra uomo e donna anche per prevenire ogni forma di discriminazione, sfruttamento e violenza), prevede anche la creazione di gruppi di condivisione e sensibilizzazione per i padri all’interno dei quali poter esprimere le proprie emozioni così da poterle elaborare in un contesto di rispetto.
Esistono anche dei corsi specifici sulla paternità che possono fornire informazioni utili e pratiche anche sulla gestione quotidiana dei figli, imparando così a come relazionarsi con loro e come crescere insieme. Anche in questo ambito può rivelarsi utile il supporto psicologico professionale che guidi l’uomo a diventare padre, processo che – come avviene per le donne con la maternità – non è automatico né limitato alla sola procreazione biologica.
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