Uno degli aspetti che più preoccupa del parto, anche solo a pensarci, è quello relativo ai dolori del travaglio, un fenomeno che potremmo dire necessario e funzionale alla nascita del bambino, ma non per questo meno traumatico. Negli anni la scienza medica ha sviluppato diverse tecniche per ridurre il dolore e una di quelle più recenti è la cosiddetta PCEA.

Per comprendere cos’è la PCEA, come funziona e quali sono i suoi vantaggi, la dottoressa Maria Magnani, specialista in Anestesia e rianimazione presso gli Istituti Ospedalieri Bresciani del Gruppo San Donato, ci spiega le caratteristiche di questo metodo.

PCEA: cosa significa

Partiamo innanzitutto dalla definizione di PCEA. È l’acronimo di “Patient Controlled Epidural Analgesia” e si tratta di una tecnica innovativa che si affianca all’anestesia epidurale, spiega la dottoressa Magnani:

Questa tecnica permette alla donna stessa di calibrare il livello di analgesico necessario, in base alle sue esigenze, ovviamente in tutta sicurezza.

In maniera molto sintetica possiamo descrivere la PCEA come una tecnologia applicata alla somministrazione dei farmaci durante il travaglio e non solo, che permette al paziente (in questo caso la futura mamma) di decidere quanto analgesico assumere e quando.

La ragione di questa innovazione è piuttosto comprensibile, considerando quanto l’idea stessa di dolore spaventi chiunque. Inoltre, come sottolinea la dottoressa Magnani

Il dolore durante il travaglio rappresenta un notevole stress per la madre e per il feto e comporta anche delle alterazioni neuroendocrine.

Per questo motivo esistono “diverse tecniche di somministrazione epidurale per ridurre il dolore nelle varie fasi del travaglio”. Ma quali sono queste tecniche? “Le tecniche con cui la miscela antalgica di anestetico locale e oppiaceo viene somministrata sono diverse: a boli intermittenti, infusione continua e PCEA”.

Come abbiamo anticipato questa tecnica non è utilizzata esclusivamente per la riduzione del dolore del travaglio. Infatti:

È frequente l’impiego della PCA nel periodo post operatorio. Il paziente, all’incremento dell’intensità del dolore, si auto-amministra un bolo dall’infusione in corso. In effetti, nella sacca connessa alla PCEA ci può essere un antinfiammatorio, un oppiaceo, un anestetico locale. È quindi una modalità che può essere applicata in contesti diversi.

PCEA: vantaggi e benefici

Entriamo più nel merito e cerchiamo di capire come la PCEA possa essere utile per ridurre i dolori del parto. Il primo elemento da considerare è la personalizzazione del trattamento. Spiega la dottoressa:

Siccome si cerca di personalizzare il trattamento a seconda della paziente e della fase del travaglio, la PCEA è più flessibile perché la paziente si auto-eroga il bolo di miscela antalgica e in questo modo si vuole minimizzare l’apporto farmacologico, oltre che avere un timing di somministrazione più opportuno in base all’intensità delle contrazioni avvertite.

Inoltre non sono da sottovalutare anche i benefici dell’utilizzo di questo metodo per l’equipe medica che segue il parto:

Sicuramente il centro nascita che ha una casistica e un numero di parti annuo elevato, può avvalersi ancora di più di questa tecnica perché riduce anche l’impiego di tempo da parte dell’equipe nell’assistenza, in quanto c’è una cooperazione e una responsabilizzazione della paziente. Senza togliere la continua vicinanza dell’ostetrica durante il travaglio.

PCEA: controindicazioni

Ci sono dei rischi per la salute della donna? La dottoressa Magnani risponde:

Tradizionalmente la somministrazione a boli intermittenti è la modalità di analgesia durante il travaglio più comune, la cui efficacia è legata all’“effetto volume” del bolo. L’infusione continua garantisce un apporto stabile di anestetico, ma può associarsi a blocco motorio o a insufficiente analgesia.

La responsabilizzazione delle donne in sala parto di cui abbiamo parlato non è però sinonimo di riduzione del controllo medico, anzi:

C’è, però, un intervallo tra queste auto-somministrazioni che viene deciso dal medico anestesista in modo da non incorrere in effetti collaterali da sovradosaggio. I parametri vitali vengono monitorati per evitare ipotensione, si valuta la sensibilità agli arti inferiori e si valuta anche la possibilità di far cambiare posizione alla paziente.

PCEA: requisiti

La PCEA può essere utilizzata da tutte le donne o ci sono elementi da vagliare prima di poter accedere a questa tecnica? Risponde la dottoressa Magnani:

Dipende dalla condizione in cui si trova la futura madre. Infatti, se si trattasse di un travaglio complesso nel quale ci fosse un ipertono uterino con una riduzione del flusso uterino legato anche agli effetti neuroendocrini dovuti allo stress o se si trattasse di un travaglio in urgenza, la PCEA non sarebbe applicabile.

C’è poi un requisito “strutturale” che limita, oggi, la diffusione della PCEA. Sono infatti davvero poche le strutture che possono disporre di questo tipo di soluzione. Commenta la dottoressa Magnani:

Il progresso tecnologico ha migliorato le modalità di trattamento del dolore in vari setting chirurgici. Si dovrebbe diffondere la conoscenza di device come la PCEA, ma il limite al loro impiego è, in primo luogo, il costo.

La linea sembra comunque segnata e la PCEA “è una tecnica al pari di altre che va fatta conoscere e contestualizzata”, per poter offrire a tutte le future mamme un aiuto prezioso per vivere in maniera meno dolorosa e traumatica la bellezza della nascita del proprio bambino, se desiderano avvalersi dell’analgesia durante il parto.

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