Il travaglio è il processo attraverso il quale il feto e la relativa placenta vengono liberati dall’utero attraverso la vagina. Esso viene definito dal Manuale MSD come la serie di contrazioni uterine ritmiche, siano esse spontanee o indotte, che consentono l’assottigliamento, l’accorciamento e la dilatazione del collo dell’utero allo scopo di consentire il passaggio del feto e, quindi, la sua nascita.

È un processo molto articolato e anche particolarmente delicato in quanto dal suo inizio, dalla sua durata e dalla sua evoluzione dipendono diverse conseguenze, soprattutto quelle legate agli interventi medici possibili. La conoscenza del funzionamento del travaglio, quindi, è indispensabile per garantire non solo che il bambino nasca sano, ma anche che non si ricorra a procedure e trattamenti evitabili che potrebbero danneggiare la partoriente e ledere la sua dignità.

È bene quindi concentrare l’attenzione sui vari stadi che caratterizzano questo processo e in modo particolare con il travaglio attivo, uno dei momenti che compongono la prima fase del travaglio.

Le fasi del travaglio di parto

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Fonte: iStock

Convenzionalmente il travaglio viene diviso in tre fasi: la prima è quella che va dall’inizio del travaglio fino alla completa dilatazione del collo dell’utero, la seconda, dalla completa dilatazione all’espulsione del feto e la terza, che consiste nell’espulsione della placenta (secondamento). A sua volta il primo stadio del travaglio si suddivide in due momenti: la fase latente e quella propriamente attiva.

Il successo del travaglio, come evidenziato in questo studio dedicato, dipende sostanzialmente da tre fattori:

  • gli sforzi della partoriente e le contrazioni uterine;
  • le caratteristiche del feto;
  • l’anatomia pelvica.

Questi tre fattori sono anche quelli che vengono regolarmente monitorati durante il travaglio per controllarne la progressione. Si svolgono esami cervicali per determinare la dilatazione e la posizione del feto, mentre il monitoraggio del battito cardiaco fetale viene eseguita continuamente per valutarne il benessere durante tutta la durata del travaglio.

Per il controllo della frequenza e regolarità delle contrazioni si ricorre invece alla cardiotocografia.

Quando inizia il travaglio attivo?

Come detto il primo stadio del travaglio si suddivide in due fasi: quella latente e quella attiva. La prima fase è difficile da definire con esattezza e si caratterizza per la regolarizzazione delle contrazioni che diventano coordinate e distanziate l’una dall’altra di circa 3-5 minuti. In questa fase il dolore è minimo e si ha una dilatazione che raggiunge indicativamente i 4cm.

La fase attiva vera e propria si ha quando la dilatazione del collo dell’utero è completa (è giunta a 10cm) e la parte di presentazione del feto scende nel medio scavo della pelvi, ovvero la porzione inferiore della cavità addominale pelvica.

Solitamente il travaglio inizia spontaneamente ma possono esserci condizioni e fattori che giustificano l’induzione medica.

I sintomi del travaglio attivo

La sintomatologia che accompagna l’inizio del travaglio è uno degli aspetti più delicati in quanto sovrappone la percezione della partoriente con le condizioni cliniche specifiche. Spesso le donne si recano alla struttura dove hanno scelto di partorire a seguito di contrazioni dolorose, sanguinamento vaginale e perdita di liquidi dalla vagina.

Di per sé si parla di travaglio attivo quando:

  • si hanno contrazioni uterine regolari, prolungate e dolorose;
  • quando la dilatazione del canale cervicale ha raggiunto almeno i 4cm;
  • la cervice uterina risulta più assottigliata;
  • vi è stata la rottura della membrana.

In questa fase il sintomo principale è quello legato alla regolarizzazione delle contrazioni e, come evidenziato dalla Mayo Clinic, si può assistere alla perdita del tappo mucoso.

Parallelamente durante la fase attiva del travaglio si possono avere crampi alle gambe: rottura delle acque e aumento della pressione sulla schiena. In questa fase bisogna attendere che la dilatazione sia completata prima di iniziare a spingere, sia per evitare il rischio di lacerazioni della cervice sia per non consumare le energie necessarie durante la fase successiva.

Nei casi in cui le acque non si sono rotte spontaneamente molti medici procedono con la rottura artificiale delle membrane (amnioressi) proprio durante la fase attiva. Tale pratica può consentire una progressione più rapida del travaglio.

Quanto dura la fase attiva del travaglio?

La prima fase del travaglio è la più lunga e possono volerci anche molte ore dal suo inizio. La fase latente del primo stadio del travaglio dura dalle 5 alle 8 ore, con una durata tendenzialmente maggiore nelle donne che non hanno mai avuto un parto naturale (nullipare).

La fase attiva vera e propria dura dalle 2 alle 4 ore nelle pluripare e dalle 5 alle 7 ore nelle nullipare e solitamente la dilatazione della cervice procede, nelle nullipare, di 1.2cm ogni ora mentre nelle pluripare di 1.5cm ogni ora.

Questi sono i dati di riferimento comunemente impiegati ma ci sono diverse evidenze scientifiche, come quelle raccolte nel focus dedicato e pubblicato dall’Associazione dei Ginecologi Italiani: ospedalieri, che suggeriscono come l’andamento del travaglio proceda più lentamente di quanto si è soliti pensare. Questa revisione sul timing del travaglio ha conseguenze importantissime legate, per esempio, al ricorso all’induzione, al taglio cesareo e alle altre pratiche mediche solitamente considerate normali e doverose in presenza di ritardi o rallentamenti nella progressione del travaglio.

In assenza di cambiamenti nella dilatazione e assottigliamento della cervice per più di 4 ore e in presenza di contrazioni adeguate (o 6 ore con contrazioni inadeguate) si considera l’interruzione del travaglio e si valuta un intervento clinico adeguato.

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