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La rottura delle acque (amnioressi) può avvenire in maniera spontanea o artificiale e in quest'ultimo caso è doveroso conoscere quando è necessario farlo e quali sono le conseguenze.
L’amnioressi è un evento fondamentale per l’esito del parto e della gravidanza e in alcuni casi, come vedremo, viene provocata in maniera artificiale. Una pratica discussa per le sue controindicazioni, ma che risulta utile in alcune specifiche condizioni.
Di per sé, quindi, l’amnioressi è la rottura delle acque. Generalmente le membrane piene di liquido amniotico si rompono durante il travaglio (e non all’inizio), ma può capitare anche che questo evento si verifichi prima dell’inizio del travaglio stesso (e si parla di rottura prematura delle membrane, PROM).
La rottura delle acque può essere spontanea (SROM, spontaneous rupture of membranes) o indotta artificialmente (AROM, artificial rupture of membranes) e in questo secondo caso è doveroso fare diverse precisazioni.
Si parla di amnioressi iatrogena quando vi è la necessità di indurre in maniera artificiale la rottura delle acque. Questo intervento, chiamato amniotomia, avviene tramite un delicato intervento chirurgico, da eseguire esclusivamente da un ginecologo o un’ostetrica. L’amniotomia può essere eseguita solo in tre specifici casi:
Anche per questo motivo in passato l’amnioressi iatrogena è stata praticata con maggiore leggerezza come metodo di induzione al travaglio, tanto da essere stata definita dai ginecologi come un pratica aggressiva da utilizzare come uno strumento di accelerazione del travaglio, quindi solo laddove indicato, e non come metodo di induzione in sé. Tanto che anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, contrastando il cosiddetto parto medicalizzato, ha ribadito che la rottura artificiale delle membrane non va eseguita di routine.
Anche perché non ci sono prove certe che dimostrino che un travaglio più veloce sia effettivamente benefico e positivo, comunque migliore di uno più duraturo, sia sulla madre che sul bambino.
L’intervento viene eseguito durante la fase attiva del travaglio e si pratica tramite l’esecuzione di un’incisione, attraverso l’utilizzo di un dispositivo in plastica con un’estremità a forma di uncino che viene utilizzato per tirare il sacco amniotico fino a che non si rompe.
L’amniotomia è indolore per la donna e provoca la rottura delle acque, quindi la produzione di prostaglandine, la stimolazione delle contrazioni uterine e la conseguente accelerazione del parto. Gli studi eseguiti hanno mostrato come un’amniotomia tardiva sia più efficace e sicura rispetto a quella precoce.
L’amnioressi artificiale espone la donna e il bambino a una serie di controindicazioni di cui è doveroso tenere conto, motivo per cui le opinioni in materia sono contrastanti e non c’è un giudizio unanime nel suggerire o vietare questa pratica. È sicuramente da evitare nelle donne con epatite B o C e in quelle con infezione da HIV in quanto aumenterebbe il rischio di esposizione del feto a questi microrganismi.
Nel caso di induzione del travaglio con amnioressi, c’è anche il rischio che si verifichi il prolasso del cordone ombelicale, così come è maggiore il rischio di infezioni, in quanto le membrane rappresentano una barriera tra il feto e l’ambiente della vagina che è ricco di batteri.
Nonostante l’intervento di amnioressi artificiale sia indolore la sua esecuzione può portare a un travaglio più doloroso con conseguente maggiore ricorso all’epidurale e anche un rischio più alto di ricorrere al parto cesareo.
C’è poi tutto l’aspetto psicologico da non sottovalutare. Qualsiasi intervento che incide sulle capacità delle donne di gestire il dolore del travaglio hanno importanti implicazioni sulle loro capacità di reagire allo stress e provocando un trauma molto profondo. L’amnioressi artificiale non è da meno e anche per questo motivo è sempre più sconsigliata o ridotta ai soli casi dove l’evidenza medica ne giustifichi il ricorso.
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