Che bere alcolici sia sconsigliato in gravidanza è cosa nota ma restano ancora troppe le donne a ignorare questa indicazione, con conseguenze anche molto gravi. Ogni anno infatti si registrano nuovi casi di bambini nati con la cosiddetta «sindrome Feto-alcolica» o Fas (Fetal alcohol syndrome), una patologia del feto indotta dal consumo di alcol in gravidanza.

In Italia sarebbero ben 25mila ogni anno, secondo i dati diffusi dalla Confederazione pediatri del Lazio (Cipe) i bambini che nascono con la Fas: come ha spiegato la presidente del comitato scientifico del Cipe, Maria Pia Graziani, in una nota stampa nell’ambito delle iniziative di informazione e prevenzione della Sindrome feto-alcolica promossa con il Crarl (Centro di riferimento alcologico della Regione Lazio)

È fondamentale far comprendere la rilevanza sociale delle patologie alcol-correlate, peraltro facilmente prevedibili e prevenibili. La Fas si può manifestare con disfunzioni di tipo morfologico, ad esempio sul volto, in forme più o meno evidenti, ma anche con deficit di attenzione e di apprendimento, iperattività, problemi comportamentali fino a malattie mentali con gravi conseguenze a lungo termine.

A sostenere l’effettiva pericolosità dell’assunzione di alcol durante la gravidanza è stato anche uno studio pubblicato a gennaio 2017 sulla rivista scientifica Lancet Global Health, dove gli studiosi del Centre for Addiction and Mental Health di Toronto (CAMH) hanno stimato che sono oltre il 10% delle donne in attesa ad assumere alcool in gravidanza, con punte del 50% in Italia.

La Sindrome alcolico fetale, benché ancora poco conosciuta, è molto seria. L’Istituto Superiore di Sanità spiega che

Se una donna incinta consuma bevande alcoliche, l’alcol, in particolare l’acetaldeide (prodotto della metabolizzazione dell’alcol) giunge direttamente nel sangue del nascituro attraverso la placenta. Il feto non essendo in grado di metabolizzare l’alcol come un adulto, viene di conseguenza esposto più a lungo ai suoi effetti nocivi. Le donne fertili, sessualmente attive, che consumano più di 7 bevande a settimana e non usano contraccettivi efficaci, rischiano una gravidanza esposta all’alcol e di dare alla luce un bambino con deficit intellettivi, cognitivi e psicosociali. La probabilità di danneggiare il feto aumenta proporzionalmente al consumo di alcol da parte della madre: ad alto rischio sono i bambini la cui madre ha consumato almeno 80 grammi di alcol puro al giorno. Tuttavia anche l’assunzione abbondante, ma sporadica, di alcol rappresenta un pericolo per lo sviluppo del feto, poiché il consumo di alcol può influire sul suo sviluppo in ogni momento della gravidanza.

Lo studio pubblicato sul Lancet ha prodotto una stima della percentuale di donne che continuano ad assumere alcol durante la gravidanza esaminando la letteratura mondiale sull’argomento in modo sistematico, e confrontando la percentuale di consumo di alcol durante la gravidanza e i tassi di incidenza della Sindrome alcolica fetale.

L’analisi, che è stata condotta a livello delle sei strutture regionali dell’Organizzazione mondiale della sanità (Europa, Africa, Mediterraneo orientale, Asia sud-orientale, Americhe, Pacifico occidentale) mostra che, in tutto il mondo, il 10% delle donne in gravidanza continua a bere alcolici, con percentuali che variano da paese a paese.

In Europa la percentuale supera il 25%, con punte in Italia, Regno Unito e Russia: qui la percentuale batte e talvolta supera il 50% (in questi paesi si registra anche un numero maggiore di bambini affetti da Sindrome fetale da alcol con circa 82 casi ogni 10.000 neonati in Italia). In Medio Oriente, dove il consumo di alcol è quasi completamente assente per motivi religiosi, si registra meno di 1 caso su 10.000.

Anche se non si può affermare che bere durante la gravidanza porti automaticamente alla Sindrome alcolica fetale, è fuori di dubbio che rappresenti un concreto fattore di rischio. Secondo lo studio, circa una gestante su 67 che consuma alcolici darà alla luce un bambino malato. Resta poco chiaro quali altri fattori entrino in gioco nello sviluppo della malattia anche se i ricercatori ritengono che giochino un ruolo la genetica, lo stress, il fumo e la dieta. Ciò che è certo è che l’unica forma sicura di prevenzione rimane un’astensione completa dall’assunzione di alcolici in gravidanza.

Ma le abitudini dannose delle donne incinte non riguardano solo l’assunzione di alcol: la comunità scientifica si è espressa in modo molto deciso anche sul consumo di sostanze stupefacenti e, nello specifico, di marijuana durante la gestazione. L’American College of Obstetricians and Gynecologists ad esempio incoraggia le donne a sospendere qualsiasi utilizzo di marijuana – anche a scopo medicinale – durante gravidanza e allattamento per i possibili effetti avversi sul feto. Non sempre però è possibile stimare il numero esatto di donne che continuano ad utilizzarla, basandosi questi dati sulla sola autovalutazione delle gestanti.

Una rara eccezione è rappresentata dalla California dove, mediante specifici esami tossicologici, uno studio ha stimato che dal 2009 al 2016 il numero di donne che ha continuato a fare uso di marijuana durante la gravidanza è raddoppiato (il 22% delle donne incinte di età inferiore ai 18 anni e il 19% di quelle di età compresa tra 18 e 24 anni).

Uno degli studi più completi e importanti in questo senso è stato pubblicato dalle National Academies of Sciences, Engineering e Medicine. Più di una dozzina di esperti hanno esaminato oltre 10mila studi pubblicati tra il 1999 e il 2016 e da ciò è emerso che l’utilizzo di marijuana in gravidanza può essere un’anticamera del parto prematuro e nascita di bambini con un peso corporeo inferiore al necessario.

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