Il valore dell’allattamento al seno non ha riverberi solo sulla salute e il benessere del neonato e della mamma, oltre che sull’ambiente (essendo una pratica sana e soprattutto green), ma anche sulla cultura e la società in cui questa pratica viene portata avanti. In tantissimi paesi del mondo il latte della mamma è sacro: questo status è fortemente legato ai benefici dell’allattamento che, nei secoli, ha anche contribuito a stringere legami di amicizia e “di latte” tra membri della stessa comunità.

In Maghreb ad esempio, questa parentela è forte come quella di sangue: quando una madre non può allattare il proprio figlio, il ruolo della nutrice diventa vitale per il suo benessere, ma anche un modo per stringere un legame che dura per sempre. Il colostro, nella cultura musulmana come anche in altre (viene ancora spesso chiamato “latte della strega”), è invece ritenuto impuro: l’usanza in alcune regioni del paese è quella di nutrire i bambini appena nati con miele e acqua, in attesa della montata, e di gettare le prime gocce di latte che arrivano a poche ore dal parto ed entro 5 giorni. Queste gocce sono scientificamente ricche di nutrienti e primo vero cibo “vitale” per il neonato.

Il colostro è considerato nocivo anche in alcune zone dell’India, e fino al quinto giorno il bambino viene nutrito ancora una volta con alimenti molto grassi come il burro e il miele. L’allattamento in pubblico, ancora uno stigma in diverse aeree del paese e del mondo, è stato ufficialmente sdoganato nel 2019, quando al Taj Mahal è stata integrata una sezione dedicata alle mamme e ai loro bimbi.

La durata dell’allattamento al seno è invece variabile e cambia, da cultura a cultura. Le stime sulla popolazione cinese ci dicono che le madri tornano al lavoro prestissimo, entro i tre mesi del neonato: lo fanno perché la società non garantisce alle donne stabilità e integrazione professionale quando scelgono di avere un figlio. Vengono licenziate o demansionate, come capita in tanti paesi del mondo (Italia compresa) e dunque la scelta è quella di sacrificare, in molti casi, la vicinanza al neonato e dunque la possibilità di allattarlo al seno per tornare sul posto di lavoro e non perderlo. Diverso è in questo senso l’approccio delle donne ROM, che invece vedono nell’allattamento e nella nascita di un figlio un evento allo stesso tempo normale e unico, e protraggono questa pratica oltre i due anni del bambino.

Nel deserto della Namibia del nord, vive una remota popolazione che si chiama Himba che ha normalizzato l’allattamento al seno come pratica assolutamente compatibile con tutte quelle che devono essere portate avanti quotidianamente, per questioni di sopravvivenza. L’antropologa Brooke Scelza che le ha incontrate ha detto che per questa popolazione allattare è facile come respirare, anche considerato che non ci sono vere alternative, il latte in formula non arriva a queste latitudini e nutrire i neonati, più che una missione, è una naturale deriva dell’essere madri, uno status che viene onorato anche attraverso l’allattamento. Proprio su questi modelli di società molto chiusi e molto remoti gli antropologi hanno potuto fare studi sull’attaccamento madre-figlio senza precedenti e senza influenze ambientali.

Gli esperti che hanno analizzato il modello delle donne Himba hanno supposto che, essendo le donne isolate e uniche deputate alla crescita dei figli, il rapporto che si crea con loro è praticamente ininterrotto e mai influenzato da terzi. Non ci sono dottori, ostetriche o infermiri che fanno da tramite tra loro e il bambino: questo cementifica un contatto che spinge l’istinto primordiale alla suzione (che tutti i neonati hanno) al suo massimo.

Il medesimo modello si è riscontrato in alcuni villaggi africani, dove l’allattamento è vitale, il colostro ancora una volta è ritenuto dannoso e, allo stesso tempo, il latte materno viene considerato un salva vita ricco di benefici e proprietà non solo sulla salute del bambino ma anche sul rapporto di questo con la sua mamma.

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