Il panorama della letteratura medica, che ha assistito negli ultimi decenni alla progressiva ascesa della laparoscopia operativa, continua oggi a constatarne i successi e ad azzardarne nuove ipotesi di impiego che la consacrino definitivamente “gold standard” in una sempre più vasta gamma di procedure chirurgiche. Nell’ultimo decennio esperti laparoscopisti hanno sfidato – e vinto – le riserve dei più cauti conservatori ed applicato la laparoscopia operativa anche in procedure da sempre considerate appannaggio esclusivo della chirurgia ” a cielo aperto”.

Oggi un’anamnesi positiva per pregressi interventi di chirurgia addominale, obesità e gravidanza non costituiscono più, infatti, assolute controindicazioni all’approccio laparoscopico. Esse vengono bensì considerate sempre più frequentemente condizioni per le quali si richiede una più attenta – ma non meno efficace – procedura. In particolare, la risoluzione delle emergenze ginecologiche nella gestante, rappresenta, a nostro avviso, un ambito di notevole interesse, degno di ulteriore approfondimento.

Tuttora sono disponibili, infatti, solo pochi dati, peraltro relativi ad interventi realizzati in centri specialistici da laparoscopisti con esperienza, interessi e competenze altrettanto specialistiche; ancora, per simili procedure, mancano studi prospettici che traggano conclusioni certe in merito alla sicurezza e al tasso di complicazioni delle stesse. Non stupisce dunque una certa diffidente unanime curiosità da parte dei ginecologi laparoscopisti italiani. Curiosità che non abbiamo la presunzione di soddisfare, bensì di accentuare, con questo attento lavoro di rivisitazione e di elaborazione dei dati più recenti disponibili in letteratura.

QUALI PROCEDURE CHIRURGICHE VENGONO PIù FREQUENTEMENTE ATTUATE IN LAPAROSCOPIA IN CORSO DI GRAVIDANZA?

La procedura laparoscopica più largamente effettuata in gravidanza è la colecistectomia. A questa, in ordine di frequenza, fanno seguito interventi a carico degli annessi, quali detorsione annessiale od ovarica e cistectomia ovarica; quindi appendicectomie ed interventi miscellanei quali biopsia epatica, esplorazione addominale per algie del basso addome e rimozione di una gravidanza extrauterina o cornuale concomitante ad una normale intrauterina 1-4. Meno frequenti sono interventi volti all’asportazione di cisti dermoidi 5-6, tumori benigni 7-8, miomi sintomatici di grosse dimensioni 9, ematosalpingi 10. Unico in letteratura è un case report che descrive il trattamento di un prolasso uterino 11 sotto visione laparoscopica effettuato con una sospensione uterina secondo Gillian modificato; documentata è anche l’evenienza, durante la gravidanza, di un rudimentale corno uterino rimosso laparoscopicamente.

IN QUALE TRIMESTRE DI GRAVIDANZA È RACCOMANDATO L’INTERVENTO LAPAROSCOPICO?

Due sono i fattori critici nel condizionare la scelta del momento ideale per un approccio laparoscopico: 1) il rischio fetale che è maggiore durante l’organogenesi, completa solo intorno alla 12° settimana e che richiede perciò che l’approccio laparoscopico sia ritardato per il maggior tempo possibile, almeno fino al completamento di questa fase embriogenetica. 2) la dimensione dell’utero gravidico che cresce ed occupa progressivamente la cavità addominopelvica suggerendo la necessità di un intervento che sia il più precoce possibile : intorno alla 20° settimana, questo raggiunge, infatti, dimensioni tali da divenire tangente alla linea ombelicale interferendo così criticamente con l’approccio laparoscopico.

La maggior parte dei laparoscopisti più esperti raccomanda dunque l’intervento in un’epoca compresa fra la 12° e la 16° settimana con un limite ultimo alla 26°- 28° settimana 1, 2, 13 . Infatti:

  •  il primo trimestre rappresenta sicuramente il periodo di maggiore rischio, dal momento che potrebbe interferire con lo sviluppo degli organi fetali; d’altra parte, tecnicamente parlando, la dimensione dell’utero è ancora tale da consentire un intervento più agevole.
  • La laparoscopia effettuata nel secondo trimestre di gravidanza od oltre è invece una scelta che associa un minore rischio fetale a maggiori difficoltà tecniche e che, pertanto, richiede competenze chirurgiche di alto livello.
  • Emergenze ginecologiche nel corso del terzo trimestre sono sicuramente evenienze più rare; qualora si verifichino, le grosse dimensioni dell’utero gravidico che occupa maggiormente la cavità addomino-pelvica, aumentano enormemente il rischio di possibili complicanze rendendo un trattamento laparoscopico fortemente sconsigliato, tuttavia non assolutamente controindicato. Documentato in letteratura è, infatti, un intervento su una torsione di cisti ovarica effettuato con procedura laparoscopica in una donna al terzo trimestre di gestazione e portato a termine con successo e senza alcuna complicanza.14

QUALI SONO I VANTAGGI DELL’APPROCCIO LAPAROSCOPICO…

Molteplici e ben documentati in letteratura 1-2 sono i vantaggi garantiti dalla tecnica laparoscopica. In primo luogo le minime cicatrici addominali risultanti da tale approccio chirurgico cui conseguono, al di là di un ottimo – ma più o meno secondario – effetto estetico, una significativa riduzione delle algie ad esse correlate e dunque una ridotta richiesta di analgesici. Va sottolineato, inoltre, che tali vantaggi risultano ancor più desiderabili in corso di gravidanza, laddove la tensione applicata ai muscoli addominali e alla parete anteriore dell’addome dall’utero progressivamente crescente ritarda la guarigione delle ferite, esacerba le manifestazioni algiche e le complicanze infettive, favorite anche da una depressione immunitaria caratteristica dello stato gravidico. Ancora, la ridotta invasività dell’approccio laparoscopico garantisce un rapido ritorno alla normale funzione intestinale, minimizzando complicanze aderenziali e possibile ostruzione intestinale. Tale ridotta invasività esita, inoltre, in una breve degenza ospedaliera e in una precoce mobilizzazione postchirurgica, fattori, questi, critici nel condizionare una riduzione significativa del rischio di eventi tromboembolici o di atelettasia 15.

…QUALI LE POSSIBILI COMPLICANZE?

I molti successi ottenuti dalle procedure laparoscopiche e la loro migliore tollerabilità 1 – specialmente in gravidanza – rispetto alla chirurgia a cielo aperto, hanno raccolto un vasto consenso e suscitato notevole entusiasmo nella comunità scientifica. Tuttavia i dati disponibili sono ancora inadeguati – qualitativamente e quantitativamente – a trarre conclusioni circa la sicurezza di tali procedure e il reale tasso di complicanze – materne e fetali – da cui esse sono gravate.

1) Rischi associati ad una qualsiasi procedura chirurgica (laparoscopica o laparotomica) attuata in gravidanza: il rischio di aborto spontaneo, che è alto nel primo trimestre; il rischio correlato all’anestesia che è tanto maggiore quanto maggiore è la durata dell’intervento; qualunque procedura chirurgica in gravidanza sembra associarsi, inoltre, a basso peso alla nascita e a ridotto accrescimento fetale.

2) Rischi associati esclusivamente all’intervento laparoscopico:

2.1. Rischi associati all’introduzione dell’ago di Veress e del trocar: rischio di penetrazione dell’utero da parte dell’ago di Veress o del trocar con conseguente sanguinamento, rottura dell’utero, perdita di liquido amniotico, infezione, danno fetale diretto o – unico caso riportato in letteratura – creazione di uno pneumoamnion, conseguente spontanea rottura delle membrane, travaglio e parto di un feto morto.

TC: Si notano un livello idroaereo (pneumoamnion) all’interno della cavità amniotica (freccia grande) ed una raccolta sottocutanea di gas a livello del sito di inserzione del trocar (frecce piccole). (Da Friedman J et al., 2002)

2.2 Rischi associati alla creazione del pneumoperitoneo e all’insufflazione di CO2

L’aumento della pressione intraaddominale determina importanti alterazioni dell’emodinamica materno-fetale. La riduzione del flusso ematico cavale e dell’escursione diaframmatica materna possono, infatti, tradursi in una compromissione della perfusione uteroplacentare ma soprattutto in un’interferenza al già precario equilibrio acido-base tipico della gravidanza. Lo stato gravidico determina molti cambiamenti fisiologici che richiedono la massima capacità di adattamento della funzione cardio-respiratoria materna al fine di sostenere il feto in via di sviluppo. Tali cambiamenti includono un incremento fino al 50% della ventilazione al minuto e di conseguenza una riduzione significativa della PCO2 ed un aumento del pH. materno. Anche la funzione cardiorespiratoria fetale si adatta fisiologicamente a tale equilibrio: una leggera acidosi respiratoria fetale sposta la curva di dissociazione dell’emoglobina verso destra e garantisce un migliore rilascio di ossigeno ai tessuti; inoltre la CO2 prodotta dal metabolismo fetale viene eliminata passivamente attraverso la placenta con un tasso di diffusione dipendente sia dal lavoro cardiaco che dalla PCO2 materna. Il rischio maggiore sembra perciò correlato all’evenienza che l’acidosi materna, che può sopraggiungere durante il pneumoperitoneo da CO2, possa interferire significativamente con tale diffusione e risultare in acidosi ed ipossia fetale. I dati disponibili riguardanti i rischi associati all’insufflazione di CO2 nella fase del pneumoperitoneo mostrano risultati discordanti: Cruz et al.17, in uno studio effettuato su modelli animali sottolineano gli effetti deleteri del pneumoperitoneo documentando ipossia, acidosi ed ipercapnia sia nella madre che nel feto. Hunter et al.18 riportano una riduzione del flusso ematico uterino in associazione ad un aumento della pressione del liquido amniotico; Galan et al.19, in uno studio effettuato su 4 femmine di babbuino gravide, rilevano acidosi respiratoria in tre dei quattro animali sottoposti a laparoscopia operativa: tuttavia in nessuno di questi studi effettuati su modelli animali sono state osservate morti fetali o parto pretermine. Al contrario, i risultati dell’attenta analisi eseguita da Barnard et al.20 sembrano dimostrare che la laparoscopia operativa produca una riduzione marcata del flusso ematico placentare materno senza alterare né il flusso ematico di perfusione della placenta fetale né i valori di pH e delle pressioni parziali dei gas ematici materni e fetali. Evidentemente, la riserva ematica della placenta o le risposte di adattamento del feto sono tali da garantire un adeguato scambio gassoso anche durante un intervento laparoscopico di 1 ora con una pressione intraaddominale di 20 mmHg.

2.3. Rischi associati all’elettrochirurgia.

Notevole attenzione è stata rivolta al potenziale nocivo di gas sviluppatisi in addome per effetto di laser ed elettrochirurgia bipolare utilizzate durante le procedure laparoscopiche21-23. Ott et al.22 hanno misurato come parametro di valutazione dell’assorbimento di monossido di carbonio i livelli di carbossiemoglobina nel sangue periferico materno e fetale prima, durante e dopo la procedura laparoscopica. Le pazienti in cui era stato utilizzato il laser mostravano un incremento significativo dei livelli di carbossiemoglobina fetale nel sangue periferico e nella concentrazione intraddominale di CO. Nessuna variazione significativa di questi parametri è stata dimostrata per effetto della elettrocauterizzazione tissutale da Beebe et al.23. Nezhat e Seidman21 hanno rivolto particolare attenzione alla relazione esistente fra la durata dell’intervento ed il rischio di avvelenamento: in 27 pazienti sottoposte ad interventi laparoscopici di durata media di 141 ± 72 minuti, solo una donna mostrava, alla cromatografia, un incremento di carbossiemoglobina nel sangue periferico alla fine dell’intervento. Tale aumento si aggirava, comunque, a livelli intorno all’1%, ben al di sotto, dunque, della soglia di tollerabilità al CO che per gli uomini è fissata al 2%. Unanime raccomandazione di tutti gli autori è quella di minimizzare il potenziale nocivo dei gas liberati nella cavità peritoneale attraverso un’adeguata eliminazione della CO con ventilazioni ad alte concentrazioni di ossigeno.

2.4. Altri rischi.

Anche il rischio di aspirazione polmonare – elevato in gravidanza sia per la riduzione del tono dello sfintere esofageo indotto dal quadro endocrino che per effetti meccanici ascrivibili all’utero gravidico- sembra essere esacerbato da un aumento della pressione intraddominale quale si verifica in corso di pneumoperitoneo. Inoltre, una sindrome da ipotensione da compressione aorto-cavale in posizione supina può essere una delle maggiori complicanze materne. Infine, la creazione dello pneumoperitoneo durante la gravidanza, risulta in una significativamente ridotta espansibilità polmonare e in un rischio di embolia gassosa durante l’intervento e nel post-partum. A questo proposito, Nagao et al.24 hanno recentemente dimostrato in femmine di suino che il rischio di embolia gassosa può essere minimizzato attraverso alcuni accorgimenti nella tecnica di insufflazione del gas. L’insufflazione dovrebbe essere cominciata a basse pressioni e a velocità molto ridotta, in modo da limitare il volume di gas embolizzato nel caso in cui si abbia inavvertitamente incannulato un vaso venoso; inoltre gli autori raccomandano uno stretto monitoraggio della funzione respiratoria e cardiovascolare materna al fine di evitare o di contrastare repentinemente l’insorgenza di ipossiemia, ipotensione, acidosi, ipoventilazione ed iperventilazione.

2.5. Rischi associati al trattamento laparoscopico di tumori maligni con il conseguente rischio di disseminazione peritoneale di cellule cancerose7,8.

LAPAROSCOPIA VERSUS LAPAROTOMIA IN GRAVIDANZA

La gestione laparoscopica delle emergenze ginecologiche in gravidanza rappresenta un’opzione ancora poco comune. Ad essa viene preferito, nella maggior parte dei casi, un più cauto “wait & watch” o – nei casi più arditi – un approccio laparotomico. A motivare questa reticenza rispetto alla procedura laparoscopica è, innanzitutto, la mancanza di trials clinici sufficienti ad elicitare l’assoluta sicurezza ed efficacia di tale approccio, a descriverne benefici, complicanze, vantaggi e svantaggi rispetto ad altre procedure. A ciò vanno aggiunte, come anzidetto, le molteplici difficoltà interpretative da cui sono gravati i dati attualmente disponibili. L’analisi degli studi riportati in letteratura 1,2,13,25 sembra, comunque, confermare la fattibilità e il risultato globalmente favorevole della chirurgia pelvica eseguita in gravidanza. Entrambi gli approcci, laparotomico e laparoscopico, sembrano essere ragionevolmente sicuri. Non sono stati riportati significativi incrementi nell’incidenza di aborti, malformazioni, nati morti o di parti pretermine verificatisi dopo la laparoscopia rispetto alla laparotomia. Nel campione osservato da Andreoli et al.25, costituito da 19 donne gravide sottoposte ad interventi di chirurgia laparoscopica, una paziente ha avuto un parto pretermine alla 35° settimana di gestazione ed un’altra è stata trattata con agenti tocolitici per l’insorgenza di contrazioni uterine irregolari; tutte le altre hanno portato la gravidanza a termine e, in assenza di condizioni perinatali sfavorevoli, hanno partorito neonati normali. Fatum e Rojansky2 riportano un’associazione non casuale fra incidenza di malformazioni quali ipospadia di grado medio e palatoschisi con interventi laparoscopici effettuati nel corso rispettivamente dell’11° e della 9° settimana: tuttavia il potere statistico di un tale dato è fortemente limitato dalla dimensione del campione. Amos et al.26 riportano su 7 pazienti sottoposte a laparoscopia, 4 morti fetali di cui 3 entro la 1° settimana ed 1 dopo 4 settimane; mentre nel gruppo di controllo laparotomico, costituito da 5 pazienti, 4 portano la gravidanza a termine ed 1 viene persa nel follow-up. Ciò viene attribuito dagli autori agli effetti del pneumoperitoneo e alle alterazioni della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca fetali ad esso conseguenti. L’inferenza statistica di tale studio è frustrata dalla dimensione inadeguata del campione. Soriano e Yefet 13 confrontano le due tecniche in termini di outcome neonatale. Non viene riportata alcuna differenza tra laparoscopia e laparotomia per quanto riguarda l’età gestazionale alla diagnosi e alla nascita e per il peso alla nascita (Tabella 3). Altri autori27 riportano un vantaggio della tecnica laparoscopica in termini di necessità di analgesici, dolore postoperatorio, uso di tocolitici e degenza (Tabella 4). Alla rassegna dei casi più significativi presenti in letteratura aggiungiamo 5 casi da noi trattati nell’anno 2001-2002: una ovariectomia e cistectomia paraovarica, una salpingectomia per rottura tubarica con emoperitoneo, un’annessiectomia e un’asportazione di mioma peduncolato del legamento utero-ovarico; inoltre una mini laparoscopia per cistectomia, adesiolisi ed aspirazione di liquido. Quattro di questi interventi sono stati eseguiti nel corso del 2° trimestre; la sola salpingectomia è stata effettuata all’11° settimana di gestazione. Nessuna delle pazienti ha avuto complicanze significative (ad eccezione di irregolarità della contrazione uterina prontamente trattate con agenti tocolitici e, in un unico caso, di una lieve ipertermia postoperatoria) e tutte hanno portato a termine la gravidanza con successo (Tabella 5). Dalla nostra revisione dei dati disponibili in letteratura e dall’esperienza personale, sembra dunque che la gestione laparoscopica delle emergenze in gravidanza rappresenti un approccio sicuro e vantaggioso- persino preferibile- sia per la madre che per il feto, posto, ovviamente, che esso venga eseguito da un team esperto di chirurghi, nel rispetto di adeguati principi tecnici e anestesiologici ed in associazione ad una buona assistenza ostetrica.

Esistono una serie di precauzioni e di tecniche chirurgiche che potrebbero significativamente ridurre i numerosi rischi associati all’approccio laparoscopico delle emergenze in gravidanza:
1) In primo luogo, è utile differire l’intervento laparoscopico almeno fino alla 12° settimana di gestazione al fine di evitare che il rischio chirurgico si sommi ad un rischio di evenienze abortive che, in questa epoca, è naturalmente maggiore. D’altra parte, le dimensioni dell’utero in questa età gestazionale, sono ancora tali da garantire una più o meno agevole manipolazione degli organi pelvici.
2) La maggior parte degli autori raccomanda di eseguire l’intervento preferendo che la paziente sia in decubito laterale sinistro28. Tale accorgimento garantirebbe il massimo apporto ematico all’utero minimizzando l’effetto compressivo esercitato da quest’ultimo sulla vena cava inferiore. Morrell et al. suggeriscono invece di ruotare lateralmente il tavolo operatorio per ottenere lo spostamento dell’utero29
3) Anche per la scelta della lunghezza dell’ago di Veress nonché del sito di introduzione dello stesso esistono in letteratura particolari suggerimenti: la lunghezza dell’ago dovrebbe essere adeguata alle esigenze individuali della paziente previa misurazione ecografica della lunghezza uterina; l’introduzione dell’ago andrebbe effettuata preferibilmente nel quadrante superiore sinistro30, in corrispondenza della linea emiclaveare destra, 2 cm al di sotto della gabbia toracica.

Alternativamente essa può avvenire in area subxifoidea, 6 cm al di sopra dell’ombelico. Simili manovre garantirebbero l’introduzione videoguidata di un trocar infraombelicale o intraombelicale da 5 o da 10 mm di diametro.

4) Il maggior rischio di danneggiamento dell’utero resta comunque associato alle fasi preliminari dell’intervento, cioè all’inserimento dell’ago di Veress e successivamente del trocar. Onde evitare una simile, catastrofica evenienza, alcuni autori propongono che l’introduzione di tali strumenti venga effettuata simultaneamente all’esecuzione di manovre volte ad allontanare l’utero e le ovaie, o ad elevare la parete addominale in modo da aumentare la distanza esistente fra questa stessa e l’utero.
5) Evitare l’introduzione di strumenti in vagina o in utero per accomodare la cervice.
6) Ridurre al minimo tecniche di elettrochirurgia (da evitare il monopolare) al fine di minimizzare l’irritabilità uterina. Alcuni autori31 hanno sperimentato con successo l’uso di colla di fibrina spray per ottenere la coagulazione in corso di gravidanza cornuale rimossa laparoscopicamente e ne hanno proposto l’estensione anche agli interventi in corso di gravidanza.
7) Altro fattore critico nel determinismo di complicanze intraoperatorie in laparoscopia è un eccessivo aumento della pressione intraddominale: ecco perché molti autori raccomandano che la pressione del CO2 in addome sia mantenuta ai livelli inferiori possibili e che comunque resti costantemente al di sotto dei 15 mmHg. La stessa problematica è risolta in modo più radicale da altri autori: sono recenti i primi casi di laparoscopia gasless in gravidanza10,27,32,33.
8) Accorgimenti di ordine anestesiologico 2,34 risultano inoltre di cruciale importanza: un monitoraggio standard non invasivo è sufficiente in caso di chirurgia laparoscopica condotta su gestanti sane: la frequenza del battito cardiaco fetale e l’attività uterina vanno monitorate sia nel pre che nel post operatorio. L’anestesista dovrebbe comunque prestare attenzione ai fisiologici cambiamenti associati allo stato gravidico e agli effetti dell’avvelenamento, nonché a quelli che il pneumoperitoneo determina sulla partoriente e sul feto. Sebbene non siano necessarie speciali tecniche di monitoraggio in pazienti sane, bisognerebbe effettuare un’ attenta valutazione di ogni singolo caso ed un monitoraggio invasivo dovrebbe essere garantito in tutte le pazienti portatrici di importanti patologie cardiovascolari e polmonari. Infine, una sorveglianza con un tocodinamometro esterno dovrebbe essere immediatamente istituita sia preoperativamente che postoperativamente in associazione ad agenti tocolitici nel caso in cui sia documentata o sospettata un’attività uterina.
9) Il trattamento con agenti tocolitici dovrebbe essere effettuato solo nel caso in cui la pazienti presenti attività contrattile uterina.

Massimiliano Pellicano
Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia e
Fisiopatologia della Riproduzione Umana
Università di Napoli Federico II
Via Pansini, 5 – 80131 Napoli

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