Il senso dell’udito è il primo a formarsi durante lo sviluppo fetale, tanto che già durante il terzo trimestre il bambino è in grado non solo di sentire (sebbene in maniera molto attutita) ma anche di distinguere la voce della mamma. In realtà la formazione del complesso sistema uditivo, sia dal punto di vista anatomico che neurologico, inizia molto prima, già dalla quarta settimana di gravidanza.

In questa primissima fase, infatti, le cellule embrionali iniziano a disporsi in maniera tale da assumere la forma del viso e, tra le altre cose, anche delle orecchie. Un abbozzo di quelle che saranno le vere e proprie orecchie inizia a intravedersi dalla nona settimana di gravidanza, quindi nell’undicesima vi è lo sviluppo del timpano e della membrana timpanica, mentre nella ventunesima settimana la coclea (una componente dell’orecchio interno) si collega alla corteccia cerebrale, consentendo al feto di riconoscere e memorizzare i suoni.

In queste settimane, quindi, l’udito del feto inizia a formarsi, svilupparsi e raffinarsi. In questa fase delicata di formazione, per ragioni genetiche o infettive, possono sorgere delle criticità tali da compromettere l’udito del bambino. in questi casi si parla di sordità congenita, ovvero di una condizione presente sin dalla nascita (o che si manifesta entro il primo mese di vita) e che colpisce un neonato su mille. Una condizione che, per quanto tempestivamente individuabile e trattabile, determina non poche conseguenze sulla crescita sana del bambino.

Sordità congenita: le possibili cause

Quando si parla di sordità congenita, ipoacusia congenita, si fa riferimento a un fenomeno di perdita uditiva neurosensoriale determinata da una disfunzione, presente sin dalla nascita, dell’orecchio interno e/o del nervo uditivo. Questa è una condizione che generalmente non è accompagnata da altre anomalie funzionali o anatomiche.

Può colpire uno o entrambi gli orecchi ed è riconoscibile o tramite diagnosi precoce o, con il passare delle settimane e dei mesi, dal sospetto dei genitori che vedono il proprio bambino non reagire (o farlo in maniera incostante) agli stimoli esterni come le voci e i rumori dell’ambiente circostante.

La causa principale, responsabile del 50% dei casi di sordità congenita, è genetica, ovvero legata a dei difetti del DNA che il bambino eredita dai genitori (o da uno solo di essi). L’altra metà delle cause è di natura infettiva, determinata dall’infezione sviluppata in gravidanza. La principale infezione è quella da citomegalovirus, ma anche la rosolia o la toxoplasmosi possono determinare, sebbene più raramente, una condizione di questo tipo. Ci sono anche possibilità che l’esposizione a sostanze tossiche (tra cui le droghe) siano responsabili del sottosviluppo delle capacità uditive.

Come anticipato, rientra nella sordità congenita anche quella che si può sviluppare entro il primo mese di vita. In questi casi l’elemento scatenante l’ipoacusia congenita può essere l’ittero, una scarsa ossigenazione tissutale (quella legata al sistema circolatorio linfatico), ma anche terapie antibiotiche per via endovenosa che si sono rese necessarie per il trattamento di infezioni particolarmente gravi.

Tra le cause non genetiche ci sono anche una serie di ulteriori fattori e condizioni che possono contribuire a favorire lo sviluppo di una condizione di questo tipo. Le principali sono il parto pretermine, il baso peso alla nascita, il diabete gestazionale, la preeclampsia o se il bambino va in debito di ossigeno. Infine anche alcune sindromi genetiche, tra cui la Sindrome di Down, possono comprendere, tra gli altri disturbi, anche la perdita o la riduzione della capacità uditiva.

I segnali di ipoacusia nei bambini

I neonati già dalla nascita percepiscono e sono condizionati dai suoni e dai rumori circostanti. È il caso, per esempio, della voce dei genitori che ha la capacità di tranquillizzarli, così come da alcuni suoni delicati (come i cosiddetti rumori bianchi) che riescono a rilassare il piccolo.

Parallelamente anche i rumori, quali un colpo o un volume della voce troppo alto, vengono percepiti dal bambino. Se il bambino rimane indifferente a questi suoni e rumori o sembra essere meno reattivo di quanto dovrebbe, magari reagendo solo quando i suoni gli giungono da una sola parte, è il caso di indagare a approfondire la diagnosi.

Questo perché la sordità congenita è una condizione che può compromettere lo sviluppo del linguaggio e della comunicazione verbale del bambino e contro la quale va posta una terapia il più tempestiva possibile sia per risolvere il problema che per ridurne le conseguenze.

A quale età bisogna fare lo screening uditivo

Nonostante esista uno screening audiologico neonatale che permette, già dai primi giorni di vita, di verificare la normale funzione uditiva del bambino, questo viene eseguito solamente sul 60% dei neonati. Non tutti i centri nascita, infatti, lo eseguono, provocando enormi conseguenze sulla salute dei bambini e sull’individuazione della terapia migliore per risolvere il problema e ridurre il disagio creato dalla sordità.

Il test di screening, basato su oteomissioni acustiche, viene generalmente eseguito direttamente presso l’ospedale dove si è partorito prima delle dimissioni del bambino.

Questo test viene svolto durante il sonno del bambino tramite l’inserimento di una sonda rivestita da un tappo di gomma all’interno del condotto uditivo esterno. Una volta inserita, la sonda emette un suono e registra la risposta emessa dalla coclea, l’organo che trasforma le onde ricevute in impulsi elettrici da inviare al cervello. Se il test dà esito positivo il neonato ha una normale funzionalità uditiva, altrimenti è necessario approfondire l’indagine diagnostica.

Lo step successivo prevede l’esecuzione dell’ABR (Auditory Brainstem Response) o esame dei “potenziali evocati uditivi”, un test che conferma (o smentisce) la normale funzionalità uditiva e permette di stabilire anche l’entità del deficit uditivo.

Le linee guida internazionali chiedono che lo screening uditivo venga eseguito tra i 3 e i 6 mesi di vita, in modo che tale precocità sia sufficiente per stabilire un trattamento altamente efficace. I test genetici per le mutazioni responsabili della sordità congenita si rivelano utili anche per identificare precocemente la causa ed evitare altri test clinici. Questi test sono molto importanti anche per individuare il tipo di mutazione e, quindi, capire se la perdita dell’udito non dovrebbe peggiorare e assicurare una risposta positiva agli apparecchi acustici.

Sordità congenita: terapie e trattamenti

Non è possibile prevenire la sordità congenita, ma si può, tramite diagnosi precoce, intervenire il più rapidamente possibile per offrire al neonato una prognosi positiva, tale da assicurargli uno sviluppo del linguaggio verbale pari a quello dei coetanei con un udito normale. Grazie alle moderne capacità mediche esistono terapie per tutti i gradi e le tipologie di sordità.

Nei casi lievi, quelli nei quali la compromissione dell’orecchio interno è parziale, l’applicazione di protesi acustiche assicura ottimi risultati. Questi moderni apparecchi, infatti, amplificano i suoni stimolando le cellule funzionanti presenti all’interno dell’orecchio del bambino.

Nelle forme più gravi, invece, si procede con l’intervento chirurgico per l’applicazione di un impianto cocleare, ovvero un dispositivo capace di stimolare le fibre del nervo uditivo.

Cosa fare in caso di sordità congenita?

Qualora la diagnosi di sordità congenita venisse confermata è fondamentale che i genitori vengano supportati per poter guidare il bambino ad avere una crescita sana, non solo dal punto di vista prettamente uditivo e linguistico. Molto spesso, infatti, c’è un rifiuto dell’intervento chirurgico perché c’è il timore che l’impianto cocleare possa creare problemi di accettazione per il bambino.

È evidente che un problema di sordità non ha implicazioni e risvolti solamente sul fronte prettamente medico, ma coinvolge anche il lato emotivo, sociale e psicologico.

Motivo per cui l’approccio deve essere multidisciplinare. Parallelamente a quanto detto va ricordato anche il sostegno economico, sotto forma di indennità di comunicazione, che l’INPS riconosce a coloro cui è stata riconosciuta una sordità congenita. Per ottenere questa prestazione economica (ottenibile solamente su richiesta) è necessario che l’ipoacusia congenita sia di almeno 60dB (fino ai 12 anni) o di 75dB (dopo i 12 anni); senza questi requisiti si possono percorrere le vie per ottenere l’invalidità civile.

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