Emofilia e gravidanza: possibilità di avere figli ed ereditarietà

L'emofilia condiziona la gravidanza? E in che modo? Ecco cosa c'è da sapere per avere una gravidanza sana.

Una malattia genetica rara per la quale le persone interessate sanguinano più a lungo in caso di ferite. Così l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) definisce l’emofilia, spiegando che si tratta di una condizione causata dalla mancanza di un fattore della coagulazione del sangue. È una malattia X-linked recessiva, spiega il Center for Disease Control and Prevention (CDC), quindi colpiscono prevalentemente gli uomini in quanto, essendo legate al cromosoma X, nelle donne quello geneticamente difettoso può essere compensato da quello sano.

Non è da escludere però l’eventualità che le donne portatrici della malattia possano manifestare sintomi emorragici gravi. Le emorragie, precisa la Società Italiana di Farmacologia (SIF) possono essere muscolari, articolari, gastrointestinali, oculari e cerebrali e avere una diversa gravità.

A questo proposito uno studio pubblicato su MDPI stima che il 30% delle donne portatrici dell’emofilia presentano sintomi significativi. Solo in rari casi alcune donne ereditano due geni difettosi sviluppando una forma grave di emofilia con sintomi simili a quelli che si verificano negli uomini.

È quindi importante comprendere quanto e come questa malattia condizioni la gravidanza e l’eventuale trasmissione al figlio. Parliamo quindi di emofilia e gravidanza ed ereditarietà.

È possibile avere una gravidanza serena con l’emofilia?

Gravidanza-con-lemofilia
Fonte: iStock

Come evidenziato dall’American Society of Hematology (ASH) in questo studio pubblicato su ScienceDirect, le donne portatrici di emofilia hanno un rischio maggiore di sanguinamento durante la gravidanza e il parto. Questa constatazione non rappresenta di per sé un impedimento alla possibilità di avere e portare a termine una gravidanza sana, ma è necessario che la gestazione sia seguita per tutta la sua durata da un team multidisciplinare. Tutte le coagulopatie ereditarie durante una gravidanza, riporta l’American Journal of Perinatology, possono avere conseguenze potenzialmente devastanti se gestite in modo inappropriato durante il periodo antepartum, intrapartum e postpartum.

Rischi per la madre e per il feto

La necessità di prevedere un approccio multidisciplinare al rapporto tra emofilia e gravidanza è giustificata dai rischi, potenzialmente fatali, sia per la gestante che per il feto. Per la donna c’è, come anticipato, un maggior rischio di sanguinamento durante le settimane di gravidanza soprattutto, come evidenziato dal National Bleeding Disorders Foundation (NBDF), in caso di procedure invasive come l’amniocentesi e la villocentesi. Durante la gravidanza le donne portatrici di emofilia possono sviluppare anche diverse complicanze come l’ipertensione gestazionale.

Parallelamente le donne con emofilia in gravidanza vanno incontro a un rischio aumentato di emorragia durante il parto (sia esso vaginale che cesareo) che di emorragia post-partum. Quest’ultimo rischio è maggiore sia per le emorragie primarie (quelle che si verificano entro le prime 24 ore), sia per quelle secondarie (fino a 6 settimane dopo il parto).

I rischi per la donna si concretizzano anche nel caso di aborto spontaneo o interruzione volontaria di gravidanza, tanto che in questi casi è possibile prevedere la profilassi emostatica, ovvero la strategia preventiva utilizzata per ridurre o prevenire il rischio di sanguinamenti eccessivi.

Anche il feto va incontro a diversi gravi rischi tra cui: ritardo nella crescita intrauterina, parto pretermine e sanguinamento neonatale. Quest’ultima eventualità, riporta il The American Journal of Managed Care (AJMC), si verifica nel bambino affetto soprattutto in caso di parto vaginale operativo che richiede l’utilizzo del forcipe o della ventosa.

Infine va posta l’attenzione sulla possibilità di trasmettere la malattia al figlio. In questo senso l’Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE) sottolinea che le donne portatrici di emofilia hanno una probabilità del 50% di avere figli maschi affetti dalla malattia e una probabilità del 50% di avere figlie portatrici.

Esami e controlli utili in gravidanza

Alla luce dei rischi e delle possibili complicanze è doveroso conoscere le possibilità diagnostiche disponibili. Prima di cercare una gravidanza è possibile prevedere una consulenza genetica per determinare il rischio di trasmissione della malattia al figlio, mentre durante la gravidanza è possibile effettuare la diagnosi prenatale, con un maggior rischio di aborto spontaneo o parto prematuro. Tra i controlli da prevedere durante la gestazione c’è quello dei livelli di fattori della coagulazione che va effettuato sia all’inizio della gravidanza che tra la ventottesima e la trentaquattresima settimana.

Il parto e la gestione post-natale nei casi di emofilia

Il primo aspetto sul quale concentrare l’attenzione è legato alla scelta della struttura dove partorire. Consapevoli dei maggiori rischi è preferibile scegliere una struttura specializzata nella gestione dei disturbi emorragici e che preveda servizi trasfusionali, con disponibilità in loco di concentrati di fattori della coagulazione e altri agenti emostatici.

La decisione sulla modalità di parto, invece, va valutata di caso in caso tenendo conto del rapporto tra rischi e benefici sia per la gestante che per il feto, soprattutto nel caso in cui il nascituro sia affetto da emofilia. È sconsigliato il parto vaginale operativo (che triplica il rischio di emorragia intracranica nei neonati con emofilia) così come il monitoraggio fetale invasivo.

L’approccio preventivo con la profilassi emostatica è raccomandato nelle donne (portatrici o affette) con livelli di fattori inferiori al 50%. Può invece essere presa in considerazione l’epidurale solamente se i livelli di fattore materno sono superiori al 50%.

In modo particolare nelle fasi finali del parto e nel periodo immediatamente successivo l’attenzione è rivolta a prevenire l’emorragia post-parto. Per evitarla è possibile utilizzare farmaci antifibrinolitici, proseguire la profilassi sostitutiva (nelle donne che vi hanno fatto ricorso) per i cinque giorni successivi al parto e mantenere un costante monitoraggio dei livelli di fattori della coagulazione.

Il neonato, invece, deve essere valutato e potenzialmente testato per l’emofilia subito dopo la nascita, soprattutto se ci sono una storia familiare di emofilia, la madre è portatrice o il bambino presenta sintomi emorragici.

Seguici anche su Google News!
Ti è stato utile?
Non ci sono ancora voti.
Attendere prego...

Categorie