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Una condizione che sembra (le cause non sono ancora del tutto note) essere comune durante il parto ma che solo in alcuni rari casi può mettere a rischio la sopravvivenza della donna.
L’embolia da liquido amniotico può manifestarsi sia durante la gestazione (specialmente nel secondo trimestre di gravidanza) che durante il parto o nel periodo immediatamente successivo, ma anche per l’interruzione di gravidanza eseguita al primo o al secondo trimestre.
Per comprendere questa complicanza è utile ricordare come il feto, dal concepimento fino alla nascita, sia immerso completamente nel liquido amniotico e che proprio per questo la sua respirazione e alimentazione dipendono dall’organismo materno. Essendo immerso nel liquido amniotico, infatti, il feto non è in grado di utilizzare né i polmoni né il sistema gastrointestinale, per cui respira e si alimenta attraverso il complesso sistema della placenta.
Un organo, la placenta, che da una parte è rivolto verso il feto (versante fetale) e dall’altro verso la madre (versante materno); in questo modo è possibile, tramite il sistema di vene e arterie, assicurare la circolazione fetale tramite la quale il sangue della madre, attraversando la placenta, cede nutrienti e ossigeno al sangue fetale in modo che il feto possa sopravvivere e avere tutto il necessario per crescere.
L’embolia da liquido amniotico è la condizione per cui parte di questo liquido (ma anche materiale fetale) entra nel flusso sanguigno della madre provocando, se non trattata prontamente (per quanto è considerata un evento imprevedibile e non prevenibile), conseguenze letali.
La particolarità dell’embolia da liquido amniotico è, inoltre, anche di natura terminologica. Questo perché per embolia è da intendersi l’ostruzione di un’arteria “dovuta a un grumo (embolo di diversa natura) oppure a una bolla d’aria (embolia gassosa)”.
In realtà il liquido amniotico è solubile e non può determinare ostruzioni. Queste sono possibili a causa dell’esposizione agli antigeni fetali durante il travaglio e il parto che determinano un danno ai polmoni e agli organi con conseguenze coagulazione.
L’ulteriore aspetto particolare, che non è ancora stato spiegato, è che l’esposizione materna agli antigeni fetali è comune durante il parto, ma (fortunatamente) l’embolia da liquido amniotico è invece molto rara.
Di per sé, quindi, la fuoriuscita del liquido amniotico nel flusso sanguigno della madre è causato, probabilmente, da una rottura, a seguito di un trauma, della barriera placentare. In realtà, come detto, è molto probabile che questa fuoriuscita avvenga comunemente durante il parto; nella stragrande maggioranza dei casi non provoca danni mentre in altri, al momento inspiegabilmente, sì.
L’embolia da liquido amniotico ha cause e caratteristiche per alcuni aspetti ancora sconosciute. Si stima che interessi 12 casi ogni 100000 parti e, proprio per questa rarità, è molto difficile individuare dei fattori di rischio.
Le ricerche attualmente condotte in materia fanno sospettare che i problemi alla placenta, l’età materna superiore ai 35 anni, una preeclampsia, l’induzione medica del travaglio, un trauma addominale, dei parti multipli o ripetuti, una sofferenza fetale, la rottura dell’utero, delle lacerazioni cervicali, un parto cesareo, la rottura delle membrane o un eccesso di liquido amniotico (polidramnios) possano aumentare la probabilità di un’embolia da liquido amniotico.
Come anticipato si tratta di un evento imprevedibile e paradossalmente comune in gravidanza, ma che generalmente risulta innocuo. Esistono però dei segnali che possono far sospettare la gravità della situazione: tra i principali c’è un improvviso arresto cardiaco, l’insufficienza respiratoria e sanguinamenti dall’utero.
Generalmente questa condizione è accompagnata anche da contrazioni molto forti e frequenti che devono essere controllate farmacologicamente proprio per evitare un decorso negativo.
Oltre a mettere a rischio la sopravvivenza della donna (e parallelamente anche quella del bambino), un’embolia da liquido amniotico può essere responsabile anche di danno cerebrale con danni neurologici gravi e permanenti, insufficienza renale, insufficienza cardiaca, edema polmonare, infarto, ischemia miocardica, aritmie e in tutti i casi la necessità di un prolungato ricovero in ospedale.
La mortalità da embolia da fluido amniotico è molto variabile e oscilla tra il 20% e il 90% sia per cause dirette che per le complicanze che si possono manifestare.
Negli ultimi anni, complice la capacità di riconoscerne i primi segnali, le migliori tecniche di rianimazione e le terapie di supporto individuate (tramite trasfusione di globuli rossi, plasma fresco e fattori della coagulazione), hanno nettamente migliorato la prognosi di questa condizione che, comunque, determina conseguenze gravi e permanenti nei sopravvissuti.
Si stima che la sopravvivenza infantile è di circa il 70% (molto dipende dall’epoca gestazionale e dalle condizioni della madre), mentre per le donne è molto alto il rischio di morte. Coloro che sopravvivono hanno nella maggioranza dei casi dei deficit neurologici, mentre quelli fetali dipendono dal tempo che trascorre dall’embolia al parto.
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