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Quello al colon-retto è un tumore comune nelle donne, ma raro in gravidanza e con un impatto profondo sia sulla gestante che sul feto.
Nonostante il tumore del colon-retto in gravidanza sia una condizione non frequente, le previsioni riportate dal Journal of Gastrointestinal Oncology (JGO) suggeriscono che l’incidenza possa aumentare nei prossimi anni. A contribuire a questa evoluzione c’è sia l’aumento dell’incidenza di tumori nei giovani che il posticipare la ricerca di una gravidanza.
La rivista scientifica The Oncologist stima che l’incidenza del tumore del colon-retto in gravidanza sia di 1 caso su 1.000 gravidanze (0,002%). Questo studio aggiunge che, sebbene il carcinoma del colon-retto (CRC) sia uno dei tre tumori più comuni nelle donne, è piuttosto raro durante una gestazione. Questa rarità costituisce una sfida sia per la diagnosi che per il trattamento, anche per l’assenza di linee guida condivise che possano supportare la gestione di questa particolare condizione.
La difficoltà nella diagnosi, precisa il Journal of Medical Case Reports, è riconducibile anche al fatto che i segni e i sintomi con cui si presenta il tumore del colon-retto sono spesso attribuibili ai cambiamenti fisiologici che avvengono durante una gravidanza. Questo ritardo nella diagnosi consente spesso al cancro di progredire verso uno stadio avanzato, con tutte le conseguenze di questa evoluzione.
Tra le particolarità del tumore del colon retto, spiega l’I.R.C.C.S. Ospedale San Raffaele, c’è l’assenza di sintomi nella prime fasi della malattia. Quando si presentano quelli più comuni sono la presenza di sangue nelle feci, il dolore addominale, diarrea, costipazione persistente, perdita di peso inspiegabile, debolezza, affaticamento e sensazione di non completo svuotamento del retto dopo l’evacuazione. Va prestata attenzione anche al sanguinamento rettale, spesso confuso con le emorroidi o le ragadi anali.
Come anticipato una delle principali difficoltà nella gestione del tumore del colon-retto in gravidanza è legata sia alla sovrapposizione dei sintomi con i normali cambiamenti della gestazione, ma anche per la necessità di valutare quale procedura diagnostica utilizzare per tutelare la sicurezza sia della gestante che del feto.
L’ecografia addominale è sicura in gravidanza ma ha una bassa accuratezza nel rilevare le masse tumorali nel colon e nel retto. La risonanza magnetica, considerata più sicura rispetto alla tomografia computerizzata, può valutare efficacemente le lesioni pelviche e addominali, motivo per cui è considerato l’esame di riferimento per questo tipo di condizioni.
La tecnica di diagnosi migliore per il carcinoma del colon-retto resta la sigmoidoscopia rettale con biopsia che deve essere eseguita preferibilmente dopo il secondo trimestre di gravidanza. Si preferisce questa tecnica alla colonscopia in quanto è meno invasiva. La TAC addominale e il clisma opaco, invece, possono avere esiti avversi sul feto a causa delle radiazioni ionizzanti, motivo per cui sono controindicati soprattutto nel primo trimestre di gravidanza.
La gestione dei tumori diventa più complessa in gravidanza per l’impossibilità di poter eseguire qualsiasi tipo di trattamento, in quanto alcuni di essi possono causare esiti avversi sul feto. La scelta del trattamento oncologico da eseguire in gravidanza dipende da diversi fattori: l’epoca gestazionale, lo stadio del tumore e la sua localizzazione e lo stato di salute della gestante.
L’intervento chirurgico può essere considerata un’opzione sicura nel caso in cui il tumore viene diagnosticato prima della ventesima settimana di gestazione ed è un trattamento raccomandato per ridurre il rischio di diffusione del tumore. Dopo la ventesima settimana di gravidanza, invece, è preferibile (laddove possibile) posticipare l’intervento per consentire la maturazione polmonare del feto. Gli interventi chirurgici sono eseguiti solitamente nel secondo trimestre quando il rischio di aborto spontaneo è minore e perché in questa epoca gestazionale le dimensioni dell’utero consentono una migliore operatività.
In alcuni casi può essere necessario un parto cesareo precoce (anche alla ventottesima settimana) seguito da isterectomia. Va precisato che la scelta tra parto vaginale e parto cesareo dipende da fattori ostetrici e dall’eventuale ostruzione del canale del parto, non dal tumore in sé. La resezione del tumore del colon-retto può invece essere eseguita contemporaneamente al parto cesareo o dopo alcune settimane dalla nascita del bambino.
La chemioterapia, invece, è controindicata ed evitata nel primo trimestre per il rischio di teratogenicità. Può essere invece eseguita nel secondo o nel terzo trimestre ma solo dopo un’approfondita valutazione del rapporto tra rischi e benefici sia per la gestante che per il feto. La chemioterapia dovrebbe essere sospesa circa 2-3 settimane prima del parto, informando la gestante sui potenziali rischi del trattamento nel breve e nel lungo periodo, anche per quel che riguarda la fertilità.
È invece generalmente controindicata del tutto la radioterapia in quanto il rischio di danni (anche letali) per il feto è maggiore dei possibili benefici. Viene presa in considerazione solamente in casi urgenti e se il tumore è lontano dall’utero. Non rientrano tra le opzioni terapeutiche sicure in gravidanza il ricorso alle terapie che prevedono l’uso di anticorpi monoclonali o di inibitori dell’angiogenesi, in quanto gli studi sono limitati e hanno mostrato diversi effetti teratogeni.
Il tumore del colon-retto ha un impatto significativo sulla gravidanza tanto che può portare a prognosi sfavorevoli, soprattutto quando la diagnosi avviene in una fase avanzata della malattia. Spesso le donne con tumore del colon-retto in gravidanza presentano, al momento della diagnosi, un cancro in uno stadio avanzato, un’eventualità che è associata a una prognosi peggiore. A peggiorare la prognosi ci sono anche la presenza di metastasi, come quelle epatiche. Va anche considerato come la gravidanza complichi il trattamento a causa dell’impossibilità di utilizzare alcune opzioni diagnostiche e terapeutiche.
Gli studi disponibili hanno rilevato un tempo di sopravvivenza inferiore a 5 mesi per le donne con tumore del colon-retto in gravidanza, con la maggior parte dei decessi che si verificano entro un anno dalla diagnosi. Per quanto riguarda il feto, invece, l’esposizione alla chemioterapia nel primo trimestre comporta un rischio significativo di malformazioni congenite, mentre nel secondo e nel terzo trimestre è generalmente considerata più sicura ma può comportare rischi legati al ritardo di crescita intrauterino e al parto prematuro.
La capacità di migliorare la prognosi del tumore al colon-retto in gravidanza dipende essenzialmente dalla precocità della diagnosi. Per questo motivo lo screening tumorale prima del concepimento è consigliato nelle donne ad alto rischio, ovvero quelle con una familiarità con questo tumore (per quanto la maggior parte dei tumori del colon-retto non è legata a una predisposizione genetica) e che presentano fattori predisponenti. La Società Italiana di Farmacologia (SIF) indica come principali fattori di rischio correlati all’insorgenza di questo tumore lo stile di vita sedentario, l’obesità, il fumo, una dieta ricca di grassi e proteine e la presenza di una colite ulcerosa o del morbo di Crohn.
È quindi fondamentale non sottovalutare i sintomi gastrointestinali significativi e persistenti pensando che siano legati al normale decorso della gravidanza.
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