Contrarre la rosolia in gravidanza è estremamente pericoloso (il feto rischia di contrarre la sindrome da rosolia congenita associata a complicazioni anche molto gravi sullo sviluppo degli organi), eppure l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha aggiornato le linee guida, prevedendo di non offrire più il relativo screening alle donne in gravidanza.

Vediamo più da vicino cos’è la rosolia, quali i rischi di contrarla in gravidanza, come riconoscerla e come gestirla.

Cos’è la rosolia? Le cause e il contagio

La rosolia è una malattia infettiva acuta esantematica provocata da un virus del genere Rubivirus. L’infezione, spiega l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), si trasmette per via aerea tramite le goccioline respiratorie che attraverso colpi di tosse e starnuti vengono diffuse nell’aria. Anche il contatto diretto con le secrezioni nasofaringee può essere responsabile del contagio.

Il virus rimane nell’organismo fino a 14 giorni dopo la comparsa dell’esantema, anche se il periodo massimo di maggiore contagiosità è quello dei primi 5 giorni dopo la comparsa dell’esantema. Un aspetto non secondario da considerare è che nel 20-50% dei casi la rosolia non si accompagna ad alcun sintomo e si può essere contagiosi senza saperlo.

Nel caso in cui si contraesse l’infezione durante la gravidanza (o a ridosso del concepimento) e il feto sviluppasse la sindrome della rosolia congenita, il neonato può essere contagioso fino a un anno dopo la nascita.

Rosolia in gravidanza: i sintomi

I sintomi comuni della rosolia sono febbre (inferiore ai 39°C), malessere, ingrossamento dei linfonodi, congiuntivite lieve e la comparsa di un esantema maculopapulare.

L’esantema colpisce inizialmente il viso per poi diffondersi nell’arco di 24 ore al resto del corpo durando fino a un massimo di 3 giorni. Spesso, come anticipato, la rosolia non si presenza con sintomi definiti o con segni clinici evidenti, motivo per cui spesso non viene riconosciuta.

Conseguenze e rischi

La preoccupazione per la rosolia in gravidanza è legata alla capacità del virus di superare la barriera placentare e, quindi, di colpire l’embrione e il feto. In questi casi, spiega il Ministero della Salute, il virus della rosolia può provocare aborto spontaneo, morte intrauterina e gravi malformazioni fetali. Il nascituro che viene contagiato durante la gravidanza contrae la sindrome della rosolia congenita (Src), che nell’85% dei casi dà origine a diverse complicazioni.

L’European Centre for Disease Prevention and Control indica tra le principali complicazioni della rosolia congenita la sordità, la cataratta, i difetti cardiaci, i disturbi cerebrali, il ritardo mentale, le alterazioni ossee e i danni a milza e fegato. In questo caso i sintomi possono manifestarsi sin dalla nascita o entro i primi 4 anni. Ci sono anche delle manifestazioni a esordio tardivo come diabete, disfunzione tiroidea e anomalie neurologiche o visive.

I rischi maggiori, segnala il Centers for Disease Control and Prevention (CDC), si hanno quando si contrae la rosolia all’inizio della gravidanza, specialmente nel primo trimestre (le prime dodici settimane).

Quali esami fare per la diagnosi?

Il sospetto di rosolia, spiega il Manuale MSD, si ha in presenza del caratteristico esantema e delle ghiandole ingrossate. Per una conferma più precisa, che si esegue generalmente nelle donne in gravidanza, si ricorre alla misurazione dei livelli di anticorpi nel sangue contro il virus della rosolia o mediante l’analisi di un campione prelevato dalle urine, dal naso o dalla gola. Sul feto la diagnosi viene condotta mediante test del sangue o del liquido amniotico.

Il Rubeo test è l’esame che ricerca nel sangue gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario o dopo la vaccinazione o dopo aver contratto l’infezione. Come anticipato l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha provveduto a fine 2023 ad aggiornare le linee guida sulla Gravidanza fisiologica inserendo nuove raccomandazioni sulla rosolia. La prima di queste riguarda l’eliminazione dello screening di questa infezione alle donne in gravidanza.

I motivi di questa scelta sono diversi. Dal 2021 l’Italia è stata inserita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nella lista dei Paesi che hanno raggiunto l’eliminazione della trasmissione endemica (entrando in contatto con un altro individuo) del virus.

Inoltre il tasso di copertura vaccinale molto elevato (superiore al 93%) e l’assenza dal 2018 di casi di sindrome da rosolia congenita (e un’incidenza comunque molto bassa) ha giustificato questa decisione sullo screening per la rosolia nelle donne in gravidanza.

Vaccino contro la rosolia e gravidanza

Vaccino-rosolia
Fonte: iStock

Il vaccino MPR è l’unica strategia efficace per la prevenzione della rosolia. È un vaccino vivo attenuato Morbillo-Parotite-Rosolia per il quale in Italia sono previste due dosi: la prima a 12-15 mesi, mentre la seconda a 5-6 anni. Due dosi sono previste anche per gli adolescenti e gli adulti che non sono mai stati vaccinati prevedendo le due somministrazioni a distanza di almeno 4 settimane l’una dall’altra.

Il Rubeo test è l’esame che consente di verificare la propria immunità contro la rosolia dosando le IgG specifiche. Tutte le donne in età fertile dovrebbero sapere il proprio stato immunitario prima di cercare una gravidanza.

Nel caso in cui non vi fosse prova della copertura immunitaria contro la rosolia, il Manuale MSD indica come tutte le donne che non sono incinte devono sottoporsi alla vaccinazione, mentre quelle in gravidanza dopo il parto prima di essere dismesse dalla struttura sanitaria in quanto, essendo vaccini con virus vivi attenuati, non possono essere somministrati nel corso della gestazione.

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