
Il rischio di trombosi in gravidanza è aumentato dalla ipercoagulabilità e dalla riduzione del ritorno venoso.
Un trombo può causare l’infiammazione di una vena superficiale dando origine a una condizione seria il cui rischio aumenta durante la gravidanza. Ecco cosa sapere e come intervenire.
Prestiamo attenzione alla flebite in gravidanza alla luce dei rischi associati a questa condizione e all’aumento dell’incidenza nelle gestanti.
L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) definisce la flebite, nota anche con il nome di tromboflebite e trombosi venosa superficiale, come l’infiammazione di una vena superficiale causata da un trombo.
Il trombo, la formazione solida composta da piastrine, globuli rossi e bianchi e fibrina, può ostruire la cavità interna della vena impedendo al sangue di circolare correttamente.
Il rischio di trombosi in gravidanza è aumentato dalla ipercoagulabilità e dalla riduzione del ritorno venoso.
La flebite può colpire qualsiasi parte della circolazione venosa, ma interessa prevalentemente gli arti inferiori, soprattutto nelle persone che soffrono di vene varicose.
È una condizione che si manifesta con il gonfiore della vena e l’arrossamento e il dolore della zona interessata. Palpando l’area colpita questa risulta percepibile al tatto, dolente e dura.
In alcuni casi può accompagnarsi a febbre alta, difficoltà respiratorie e dolore al petto. In presenza di questi sintomi è fondamentale ricorrere tempestivamente al pronto soccorso in quanto c’è il rischio di una trombosi venosa profonda e di conseguente embolia polmonare.
Alla base della flebite ci sono tutta una serie di fattori che determinano un rallentamento della circolazione venosa, che può portare alla formazione di trombi o coaguli all’interno di una vena.
Questi si possono formare se si trascorre molto tempo in posizione ferma (come in aereo o durante lunghi viaggi in automobile), a letto per una malattia cronica o per un trauma che interessa la vena.
La flebite è una condizione che si verifica più spesso nelle persone con alterazione della coagulazione del sangue, tra cui le donne in gravidanza.
Come riportato in un articolo su Quotidiano Sanità, il rischio di tromboembolismo venoso aumenta di cinque volte in gravidanza come conseguenza della maggiore coagulabilità del sangue. Un fenomeno che si verifica probabilmente come prevenzione da un’emorragia post-partum.
Il rischio di flebite in gravidanza è maggiore quindi perché durante la gestazione si verificano tutti quei fattori di rischio responsabili dell’insorgenza di questa malattia. Tanto che le vene varicose sono uno dei cambiamenti tipici che l’organismo femminile subisce durante la gravidanza.
Inoltre l’aumento di volume dell’addome e dell’utero e la ridotta mobilità, così come un eventuale stato di sovrappeso preesistente, l’aumento di peso tipico della gravidanza, il diabete, l’ipertensione e l’utilizzo di estroprogestinici (la pillola anticoncezionale) prima della gestazione sono tutti fattori che aumentano il rischio di formazione di trombi e coaguli.
Di per sé nell’arco di 2-6 settimane la flebite si risolve, ma la formazione di trombi e coaguli può condizionare il decorso della gravidanza, specialmente se colpisce la placenta. In questo caso può portare ad aborto spontaneo o parto pretermine.
La preoccupazione maggiore è legata alle complicanze della flebite in gravidanza. Anche se non comuni (si parla di 1 caso ogni 250 gravidanze), questa condizione può provocare un’embolia polmonare (condizione potenzialmente fatale) e una sindrome post-trombotica come conseguenza di una trombosi venosa profonda e responsabile di gonfiore e dolore cronico dell’area colpita.
I rischi di complicanze sono maggiori dopo un parto cesareo, ma la preoccupazione non si esaurisce con il parto. Anzi.
Attenzione particolare va rivolta non solo alla flebite in gravidanza, ma anche al periodo del puerperio. Il Manuale MSD, infatti, riferisce come il rischio di sviluppare una malattia tromboembolica è maggiore nelle sei settimane dopo il parto.
La prevenzione passa innanzitutto dall’adottare alcuni cambiamenti nello stile di vita, soprattutto per le donne più a rischio. Sebbene la flebite sia più comune nelle donne in gravidanza non bisogna allarmarsi ma prevedere controlli regolari e seguire le indicazioni del medico.
In generale per ridurre il rischio di sviluppare la flebite è utile intervenire sui fattori che aumentano la probabilità di contrarla. Quindi non fumare, mantenere un peso equilibrato, fare attività fisica, evitare l’inattività prolungata e non indossare indumenti elastici o troppo stretti che possono ostacolare il deflusso venoso.
Per le donne che viaggiano spesso, in auto o in aereo, è consigliato alzarsi ogni ora circa per sgranchirsi le gambe. Nel caso in cui questo non fosse possibile è utile muovere spesso le gambe o flettere le caviglie.
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Molti dei rimedi previsti per la prevenzione sono utili anche per risolvere casi di flebite. L’utilizzo di calze a compressione graduata e l’esercizio fisico stimolano e migliorano la circolazione sanguigna degli arti inferiori.
Previo consulto con il proprio medico è possibile anche prevedere l’applicazione di creme antidolorifiche e antinfiammatorie o di impacchi (caldi e freddi) per ridurre il dolore e il gonfiore. Il medico può inoltre prescrivere antinfiammatori e antidolorifici (come paracetamolo e ibuprofene).
In presenza di un trombo, l’indicazione è quella di procedere tempestivamente con la terapia a base di eparina (somministrata o per via endovenosa o per via sottocutanea). L’eparina non danneggia il feto in quanto non attraversa la placenta e il trattamento viene previsto anche per i 3-6 mesi successivi, riducendo il dosaggio in maniera graduale nelle 6 settimane dopo il parto.
Le donne che hanno avuto una precedente flebite o la formazione di un trombo prima della gravidanza possono ricorrere a farmaci antitrombotici (tra cui gli antiaggreganti e gli anticoagulanti).
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