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Scopriamo le cause degli attacchi di panico in gravidanza, i sintomi e come tutelare la propria salute e quella del feto.
Ci sono comunque studi che stimano al 30% il tasso di donne interessate da qualche tipo di disturbo d’ansia nel corso della vita, e quando questi episodi si verificano in gravidanza possano influenzarne negativamente gli esiti.
A questo proposito, uno studio pubblicato su ScienceDirect, sottolineando la significativa lacuna nella letteratura medica, spiega che il disturbo di panico è uno dei gravi problemi mentali che ha un impatto sulla salute mentale delle madri e anche sulla salute del feto.
È quindi fondamentale comprendere meglio cosa sono gli attacchi di panico in gravidanza, saperne riconoscere i sintomi e comprendere cosa fare per tutelare la propria salute e quella del feto.
Il Manuale MSD definisce l’attacco di panico come un “breve periodo di estremo malessere, ansia o paura che si manifesta all’improvviso ed è accompagnato da sintomi fisici e/o emotivi”.
Nella maggior parte dei casi, chi soffre di questo disturbo guarisce senza alcun trattamento, mentre in altri si sviluppa un disturbo di panico, caratterizzato dalla paura ricorrente di nuovi episodi o da comportamenti di evitamento.
La gravidanza, spiega uno studio pubblicato su SAGE Journals, può avere un’influenza altamente variabile sul decorso del disturbo di panico, tanto che ci sono casi clinici che peggiorano durante la gestazione, altri che non percepiscono nessun cambiamento, ma ci sono anche quelli che paradossalmente hanno riscontrato una diminuzione dei sintomi durante la gravidanza.
Per completezza d’informazione, va detto che gli attacchi di panico in gravidanza si possono verificare come “normale” esperienza di chi soffre di questo disturbo prima della gestazione o come conseguenza della gestazione in sé.
Molte donne che soffrono di attacchi di panico prima della gravidanza possono continuare a sperimentarli nelle settimane di gestazione anche come conseguenza delle maggiori preoccupazioni sulla propria salute e quella del feto o per effetto dello stress che tipicamente coinvolge le gestanti.
Lo stress e l’ansia per la gravidanza possono in altri casi essere invece il fattore scatenante degli attacchi di panico.
Uno studio pubblicato su JAMA Network mostra innanzitutto che i tassi degli attacchi di panico in gravidanza siano più alti nel primo trimestre. Parallelamente sono a maggior rischio le donne che devono seguire un trattamento farmacologico durante la gravidanza.
Un altro studio, questa volta pubblicato sulla rivista scientifica Heliyon, analizza i possibili fattori di rischio:
Inoltre, il rischio è maggiore tra le donne che non lavorano, hanno un livello di istruzione più basso, hanno avuto più figli e ricevono un minor sostegno familiare. È stata riscontrata anche una forte correlazione tra attacchi di panico ed episodi di violenza da parte del partner.
Non vanno infine trascurati i fattori psicologici, personali e sociali, come le preoccupazioni relative alle proprie capacità di essere una buona madre, i cambiamenti nello stile di vita e le conseguenze economiche e finanziarie che la nascita di un bambino comporta.
Non ci sono invece evidenze scientifiche tra possibili esiti avversi dati dagli attacchi di panico e lo sviluppo del feto, ma anche fossero inesistenti è da tutelare parallelamente il benessere e la salute della gestante.
L’attacco di panico si manifesta improvvisamente come una sensazione di intensa paura o disagio. Si parla clinicamente di attacco di panico in presenza di almeno quattro di questi sintomi psicofisici:
Questi sintomi generalmente raggiungono il loro apice entro 10 minuti per poi scomparire in pochi minuti. È il motivo per cui spesso il medico non riesce a osservarli.
La loro frequenza è estremamente variabile e c’è chi li sperimenta ogni giorno per diversi mesi, chi ogni settimana e chi, invece, in maniera sporadica.
È importante comunque sottolineare che, per quanto fastidiosi e molto preoccupanti, gli attacchi di panico non sono pericolosi.
L’ansia e le preoccupazioni legate alla gravidanza e al post-partum sono innanzitutto legittime. La preoccupazione sorge quando queste diventano gravi e invalidanti, ma va superata la narrazione per cui la gravidanza è esclusivamente qualcosa di bello e positivo e per questo privo di difficoltà e tensioni.
È quindi normale essere preoccupate per il proprio bambino, per tutto quello che rappresenterà il suo arrivo e la sua crescita, per i cambiamenti del proprio corpo, per il ritorno al lavoro e per tutti gli stravolgimenti (temporanei e definitivi) dati dall’arrivo di un figlio.
Questa consapevolezza può essere un primo elemento da cui partire per non sprofondare nell’ansia e non innescare un circolo vizioso.
Parallelamente, è utile riuscire a riconoscere eventuali condizioni di rischio per evitarli o farsi trovare pronte applicando accorgimenti e strategie efficaci (come gli esercizi di respirazione). Anche se può apparire banale o inutile è molto efficace anche un approccio proattivo basato su uno stile di vita sano e attivo.
Seguire un’alimentazione adeguata e che non sia solamente la conseguenza di una serie di divieti su cosa non si può mangiare e impostare una routine vivace (al netto degli impegni professionali e personali e della stanchezza) fatta anche di tempo per sé stesse è quanto di più efficace si possa predisporre per prevenire e superare rapidamente preoccupazioni e ansia.
I metodi di trattamento degli attacchi di panico in gravidanza prevedono sia il ricorso ai farmaci (soprattutto l’inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina, ma anche le benzodiazepine e gli antidepressivi) che al trattamento psicologico.
Per quel che riguarda il trattamento farmacologico, è importante analizzare il rapporto tra rischi e benefici essendo farmaci che possono causare gravi complicazioni per il feto in via di sviluppo. Per questo motivo spesso l’approccio terapeutico di prima scelta per gli attacchi di panico in gravidanza è la terapia cognitivo comportamentale.
L’obiettivo principale è proteggere il benessere della madre senza compromettere quello del bambino, adottando un approccio personalizzato e bilanciato.
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