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L'sindrome da iperstimolazione ovarica è una conseguenza che può verificarsi durante i trattamenti di PMA e che, seppur gestibile, a volte può risultare molto pericolosa. Ne abbiamo parlato diffusamente con l'aiuto dell'esperto.
Tale problematica ha una incidenza che si aggira attorno al 5% di tutte le induzioni dell’ovulazione e nonostante si possa risolvere, nella maggior parte dei casi, nel corso di alcuni giorni, talvolta l’OHSS può diventare potenzialmente pericolosa per la vita, a causa delle gravi complicanze a essa legate; per questo motivo è molto importante che venga precocemente identificata e opportunamente trattate.
Quando si manifesta, l’OHSS può assumere varie forme ma generalmente dal punto di vista clinico, i segni e i sintomi più frequenti sono rappresentati da distensione addominale, ingrandimento delle ovaie (>12 cm), nausea e vomito, diarrea, dispnea (respirazione difficoltosa), tachicardia. Nei casi più gravi il quadro clinico è caratterizzato da tromboembolia polmonare, insufficienza renale, aritmie cardiache, emorragia da rottura dell’ovaio e danno multiorgano.
Grazie a una accurata anamnesi e alle caratteristiche fisiche della paziente è possibile identificare una serie di fattori di rischio, quali la giovane età, un BMI (indice di massa corporea) <20, precedenti episodi di OHSS, la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), definita come la presenza di più di 10 follicoli di 4-10 mm per ovaio.
Non essendo stata identificata ancora oggi una causa, solo la raccolta dei dati anamnestici e una sorveglianza attiva delle condizioni cliniche della paziente rappresentano le uniche armi delle quali il medico dispone per delineare il quadro clinico della donna.
Quadro clinico che può essere più o meno grave anche in funzione dell’avvenuto (o meno) impianto dell’embrione, motivo per cui è doveroso ricordare come le tecniche di PMA vanno eseguite presso centri specializzati guidati da specialisti della fertilità, professionisti in grado di avere una panoramica completa della situazione, essere in grado di monitorare l’evolversi della condizione e saper intervenire in maniera tempestiva per gestire correttamente tutte le conseguenze.
Per questo motivo. per spiegare e capire le basi dell’iperstimolazione ovarica abbiamo intervistato il Dottor Andrea Ciardulli, Medico Chirurgo Ostetrico Ginecologico ed esperto in attività clinica per problemi di infertilità di coppia a Roma e Caserta. Con il suo aiuto abbiamo potuto fare una panoramica generale e introduttiva dell’argomento, tale da abbozzare i principi di questa condizione e renderla il più comprensibile possibile.
Dottor Ciardulli, cos’è propriamente l’iperstimolazione ovarica?
La sindrome da iperstimolazione ovarica è una delle complicanze della stimolazione ovarica, ovvero di quel processo terapeutico delle donne che seguono un percorso di procreazione medicalmente assistita che induce una crescita follicolare multipla in modo da prelevare quante più uova possibili con lo scopo di creare un embrione in vitro che sia evolutivo e possa dare una gravidanza alla donna.
In cosa consiste?
È caratterizzata da un aumento del volume delle ovaie con la formazione nel loro contesto di multipli follicoli ingranditi (o cisti ovariche) e la fuoriuscita di liquidi ricchi di proteine dal compartimento vascolare all’addome. C’è quindi un eccesso di perdita delle proteine a favore del comparto addominale.
Da cosa è causata?
La causa è ancora sconosciuta, ma fondamentalmente si distinguono due tipologie di iperstimolazione ovarica. Una precoce, che si manifesta già dal terzo-settimo giorno dopo la somministrazione dell’hMG, il farmaco che si somministra per stimolare l’ovulazione. L’altra tipologia è invece più tardiva e si può verificare dopo 12-17 giorni dopo la somministrazione del farmaco ed è associata a gravidanze multiple se il transfer è avvenuto precedentemente.
Parliamo di una condizione rara o diffusa?
Fortunatamente è una condizione rara. Nonostante l’eziologia sia sconosciuta si possono identificare i soggetti maggiormente a rischio.
Ci sono dei fattori di rischio, degli elementi da monitorare per valutare la possibilità che la stimolazione ovarica evolva in questa sindrome?
«È maggiore nelle pazienti affetti da ovaio micropolicistico, quelle con un’elevata concentrazione di ormone anti-mülleriano e, inoltre, esistono alcune donne che geneticamente sono predisposte a rispondere maggiormente ai farmaci che si somministrano durante l’induzione dell’ovulazione, ovvero hanno un polimorfismo genico, una condizione per cui i recettori per l’FSH e l’LH sono situati sull’ovaio e che predispongono, a parità di farmaco somministrato, a una risposta maggiore o minore rispetto a quella che, altrimenti, sarebbe normale.
Quali sono i sintomi che accompagnano la sindrome dell’iperstimolazione ovarica?
Esistono quattro gradi di iperstimolazione che può essere lieve, moderata, severa o critica. Quando è lieve l’iperstimolazione ovarica è accompagnata da nausea, vomito, diarrea e distensione addominale. Nel caso in cui è moderata, invece, si aggiunge anche l’ascite, ovvero la presenza di liquido in addome (evidenziabile attraverso un’ecografia). Nell’iperstimolazione ovarica severa troviamo, oltre ai sintomi precedenti, una forma più grave di ascite e inoltre c’è un grado di ipovolemia, una diminuzione della funzione renale, una disfunzione epatica così che la sindrome provoca la fuoriuscita di liquido che dal sangue si accumula in addome generalizzato.
Nelle forme critiche ci sono tutti questi fenomeni infiammatori a carico di più organi con anche fenomeni tromboembolici, insufficienza renale e insufficienza respiratoria. Anche per questo è fondamentale prevenirla e procedere sempre con grande attenzione nella stimolazione dell’induzione dell’ovulazione.
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Anche alla luce della variabilità della tipologia e della gravità dei sintomi, quali sono le conseguenze della sindrome da iperstimolazione ovarica per la salute della donna?
Le conseguenze sono sempre legate al grado dell’iperstimolazione e quindi dal quadro clinico e biochimico. Dal grado lieve a quello moderato può essere sufficiente un controllo ambulatoriale della paziente nel quale dare indicazioni legate all’alimentazione e all’idratazione, ma soprattutto sul riposo da seguire ed è possibile che si possa risolvere nel giro di qualche giorno. Nelle forme severe, invece, è necessario il ricovero in ospedale perché va eseguita una terapia infusionale e un monitoraggio di tutti i valori e i parametri funzionali del fegato, del cuore e dei reni, il bilancio idrico e l’annessa valutazione del quadro ecografico per migliorare la situazione.
Dottor Ciardulli, come si interviene per risolvere i sintomi e prevenire le conseguenze più gravi?
Ogni ciclo di stimolazione dell’induzione dell’ovulazione deve essere sempre eseguito e monitorato tramite uno specialista della fertilità che, attraverso l’ecografia e gli esami ormonali, può intervenire il più precocemente possibile e può farlo in diversi modi: innanzitutto modulando la terapia, o se necessario anche sospendendola, ma anche indicare un tempo di riposo alla paziente, procrastinare il transfer perché, come abbiamo visto, non è detto che questa condizione si manifesti in forma precoce, ma anche dopo avere eseguito l’intera tecnica di fecondazione in vitro, ovvero dopo pick-up ed embrio transfer.
Per quel che riguarda accenniamo brevemente al trattamento che si avvale di farmaci che spaziano dai semplici antidolorifici, all’idratazione e infusione di sostanza che sostengono il circolo, passando alla somministrazione di anticoagulanti. Per questo è sempre necessario fare una valutazione dei parametri vitali, biochimici e clinici costante ed ovviamente personalizzare la terapia in base al singolo caso.
Concludendo, quando si parla di induzione dell’ovulazione il medico responsabile del trattamento deve essere sempre uno specialista della fertilità nonché di essere in grado di prevenire e agire tempestivamente in caso di complicanze che sebbene rare possono avere risvolti clinici importanti sulla donna.
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