Anonimo
chiede:
Buongiorno, scrivo perché vorrei essere aiutata a capire lo stato emotivo in cui mi trovo. Ho 35 anni, a fine anno ne compirò 36, il mese prossimo mi sposerò ed il mio futuro marito già da un po’ spinge per avere un figlio. Io però non me la sento. Premetto che noi due conviviamo da più di un anno in una città in cui ci siamo trasferiti (dall’estremo sud all’estremo nord Italia) a causa del mio lavoro. Anche lui lavora qui ma il ns tenore di vita, sebbene lavoriamo entrambi, ci permette, a livello economico, di sopravvivere nella cittadina in cui abitiamo. Qui, infatti, il tenore di vita degli abitanti, nati e cresciuti qui, è abbastanza alto (un luogo montano in cui gli adulti di oggi hanno ereditato terre e risparmi di tris e bis nonni) e conseguentemente il costo della vita è elevato (per intenderci, non esiste il concetto di servizi assistenziali pubblici, si aiuta solo chi è indigente a livelli insostenibili, ma chi ha due redditi anche non alti (1000 euro al mese) viene lasciato al suo destino –> es. asilo nido comunale con costo equivalente al privato). La verità è che non voglio ed ho paura di avere un figlio perché non voglio essere povera. La mia infanzia, la mia adolescenza e la mia giovinezza fino a che non ho cominciato a lavorare è stata segnata dalla povertà e dalla precarietà. I miei genitori sono stati sempre poveri e, non voglio scendere nei particolari, ho vissuto una vita molto triste da quel punto di vista. Adesso, nel posto in cui viviamo (perché se vivessimo al sud con i ns stipendi vivremmo molto meglio), riusciamo a campare ma non strafiamo né ci diamo alle folli compere. Diciamo che possiamo concederci un cinema il fine settimana. L’idea di fare un figlio e ripiombare nella povertà mi terrorizza, ho sofferto troppo da bambina per trovarmi nella stessa situazione. Alla mia intenzione di non fare figli cerco di attribuire anche altre motivazioni, ma la verità è che l’unica motivazione è quella di cui ho già parlato. Il mio ragazzo, sebbene anche lui provenga da una famiglia povera e riconosce il problema che gli pongo, è più ottimista e non la vede così nera. Mi immagino una vita di stenti e sopravvivenza anche per il presunto figlio che dovrebbe nascere e mai al mondo vorrei che lui subisse gli stessi traumi che io ho subito. Grazie
Gentile signora,
dalla sua mail traspare quanta sofferenza c’è dietro il “Io però non me la sento” e il “non voglio essere povera”… Lei stessa parla di traumi legati ai suoi vissuti infantili, ed è terrorizzata all’idea di ritrovarsi in quella circostanza e per di più di farla “subire” a suo figlio. In linea con la sua richiesta di essere aiutata a capire in che stato emotivo si trova, la invito a pensare a questa metafora: è un po’ come se lei fosse sopravvissuta ad una guerra, ma avesse ancora negli occhi e nel cuore la paura e i ricordi brutti da cui non riesce a separarsi e che la condizionano tanto. Stando con questi ricordi, che acuiscono il suo spavento, come potrebbe desiderare di condividere ciò con un figlio? E di ripiombare lei stessa in quell’incubo? I suoi timori sono leciti e comprensibili letti proprio in quest’ottica, considerando quanto l’esperienza del passato probabilmente risulti per lei ancora irrisolta e problematica. Ognuno di noi affronta le difficoltà della vita in modo diverso e questo le spiegherebbe perché il suo compagno, benché abbia avuto un’esperienza simile alla sua, si senta più tranquillo e fiducioso all’idea di creare una famiglia. Può pensare alla possibilità di parlarne con uno psicologo (magari consultando un consultorio) per sciogliere quei nodi che la riportano come un elastico a rivedersi piccola e indifesa davanti ad una realtà temuta e cominciare a vedere che, nonostante le difficoltà, lei oggi è una donna con risorse e capacità per affrontare la vita.
La saluto cordialmente
* Il consulto online è puramente orientativo e non sostituisce in alcun modo il parere del medico curante o dello specialista di riferimento
Specializzazione
- Psicologo