Anonimo
chiede:
Buongiorno Prof. Barletta, sono in procinto di sposarmi con un uomo
malato
dl rene policistico nella forma autosomica dominante. Le chiedo se una
fecondazione assistita potrebbe darci la possibilità di generare,
aggirando l’inevitabile spada di Damocle del 50% di possibilità che
nasca
malato.
Il mio futuro marito è trapiantato di fegato e reni ed ha perso le
gambe
in ragione della malattia… desidero un figlio ma voglio sapere se
devo
rinunciarci. Grazie
Egregia Signora,
le coppie ad elevato rischio di trasmissione di malattie genetiche sono
di solito consigliate di ricorrere alla diagnosi prenatale (amniocentesi), in maniera tale da permettere la identificazione delle
anomalie genetiche entro le prime 10-16 settimane di gestazione.
Entrambe le procedure prevedono il campionamento di cellule fetali,
dalle quali potrà essere estratto il DNA per effettuare l’analisi di
mutazione di specifici geni e/o la determinazione del cariotipo fetale.
Sebbene le tecniche di diagnosi prenatale rappresentino oggi delle
procedure più che idonee per evitare la nascita di bambini affetti da
malattie genetiche, le coppie che vi fanno ricorso devono affrontare una
interruzione terapeutica della gravidanza nel caso in cui venga
individuato un feto affetto dalla specifica malattia. L’esperienza
disponibile, inoltre, evidenzia che molte coppie affrontano ripetute
interruzioni di gravidanza prima di generare un bambino non malato.
Quindi, la possibilità di una scelta alternativa alla diagnosi prenatale
risulterebbe molto utile per quelle coppie che vorrebbero evitare il
ricorso ad una interruzione della gravidanza.
Bisogna inoltre considerare che, in alcune popolazioni, la diagnosi
prenatale non è facilmente accettabile a causa di problemi etico/morali
o religiosi associati all’interruzione della gravidanza.
Con l’evolversi delle tecniche di fertilizzazione in vitro (IVF) la
Diagnosi Genetica Preimpianto (PGD) si è proposta come una nuova
metodologia intesa ad identificare, prima dell’impianto in utero, la
presenza di malattie genetiche nell’embrione generato in vitro da coppie
ad elevato rischio riproduttivo. La possibilità di diagnosticare una
malattia genetica nell’embrione, prima dell’impianto, evita così il
ricorso all’interruzione di gravidanza terapeutica, spesso devastante
dal punto di vista psicologico e non sempre accettata dal punto di vista
etico/morale.
I pazienti che richiedono la PGD, quindi, verranno sottoposti alle
procedure di IVF per permettere la manipolazione dell’embrione 3 giorni
dopo la fertilizzazione, prima del relativo impianto in utero. È importante ottenere dal ciclo IVF un adeguato numero di embrioni al
fine di aumentare le probabilità di identificarne almeno uno o due che
risultino all’analisi genetica privi della specifica malattia ricercata.
Una o due cellule (blastomeri) vengono rimossi da ciascun embrione e
sottoposti ad analisi genetica; se i blastomeri prelevati risulteranno
non affetti dalla malattia, si potranno dunque trasferire nell’utero
della madre, ottenendo così una gravidanza esente dalla specifica
malattia.
Dal primo caso di PGD di fibrosi cistica eseguito nel 1992, le
strategie diagnostiche si sono evolute notevolmente, e di conseguenza si
è avuta una consistente crescita del numero di malattie alle quali è
stata applicata la PGD. Ad oggi esistono protocolli diagnostici per
oltre 30 malattie monogeniche, autosomiche dominanti, recessive o
legate al cromosoma X.
Patologie genetiche molto diffuse in cui la PGD oggi trova una valida
applicazione comprendono Beta-Talassemia, Anemia Falciforme, Emofilia A
e B, Distrofia Muscolare di Duchenne-Becker, Distrofia Miotonica,
Fibrosi Cistica, Atrofia Muscolare Spinale (SMA), Sindrome di
Lesch-Nyhan, Malattia di Charcot-Marie-Tooth, Alfa-1-Antitripsina e
X-Fragile, come pure la malattia del rene policistico.
Egregia signora, la forma autosomica dominante del rene policistico
dipende da mutazioni del gene PKD1 (85% dei casi) o del gene PKD2 (15%
dei casi): un genitore con una mutazione (e quindi malato) ha il 50% di
probabilità di trasmettere la malattia a ciascuno dei figli. Potrebbe
essere coinvolto anche un terzo gene, non ancora identificato.
La forma autosomica recessiva dipende da mutazioni del gene PKHD1: i
genitori sono entrambi portatori sani della mutazione e hanno il 25% di
probabilità di trasmettere la malattia ai figli. Questa forma è molto
più rara. Suo marito è affetto dalla forma dominante? Come fa a saperlo,
ha fatto i test genetici e sono state trovate le mutazioni? Mi faccia
sapere.
Cordialmente
* Il consulto online è puramente orientativo e non sostituisce in alcun modo il parere del medico curante o dello specialista di riferimento
Specializzazione
- Genetista