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Per individuare alcune patologie genetiche o malformazioni nel feto è possibile avvalersi del cosiddetto tritest, un esame non invasivo che si esegue sul sangue della donna in gravidanza.
Il tritest può solo indicare una probabilità relativamente alla presenza di una determinata patologia, mentre per la conferma bisogna procedere con un test diagnostico invasivo, come la villocentesi o l’amniocentesi.
Come altri test neonatali, il tritest permette di scoprire l’eventuale presenza nel feto di patologie genetiche rare. In molti casi questa previsione può rivelarsi decisiva anche per salvare la vita del feto.
Se molte patologie, specie quelle rare, non sono guaribili, sono tuttavia curabili e possono essere affrontate con trattamenti preventivi che consentono al bambino di avere una vita dignitosa e ai suoi genitori di poterlo assistere nel migliore dei modi.
Il tritest è uno dei primi esami che può essere fatto per intuire la presenza di malattie al quale devono seguire diagnosi più approfondite per avere la certezza di tale previsione.
Nello specifico il cosiddetto tritest consiste in una serie di esami biochimici (si tratta di tre esami, da qui il nome di tritest o di triplo test) svolto sul feto per individuare la probabile presenza di particolarità a livello cromosomico.
Con il tritest, ad esempio, si possono individuare la possibilità che sia affetto della Sindrome di Down (Trisomia 21) o da alcuni difetti del tubo neurale che possono provocare danni al cervello, al midollo spinale e alla colonna vertebrale.
Come detto all’inizio, la particolarità del tritest è che si tratta di un esame non invasivo. A differenza ad esempio dell’amniocentesi (che, anche se con una probabilità inferiore all’1%, non è del tutto esente dal rischio di aborto), il tritest non espone il feto ad alcun tipo di rischio.
Il tritest è un normale prelievo del sangue della madre per il quale non è richiesto di presentarsi a digiuno.
Si chiama in questo modo in quanto fa riferimento alle tre proteine (alfafetoproteina, gonadotropina corionica ed estriolo non coniugato) da ricercare nel campione di sangue prelevato.
Questo esame è fondamentale in quanto è stato riscontrato come in presenza di alcune malattie genetiche, i valori di una o più di queste tre proteine aumenta o diminuisce in maniera significativa.
Per poter avere risultati utili, il tritest si esegue tra la 15^ e la 18^ settimana di gravidanza. La differenza dell’età gestazionale, insieme ad altri fattori (come il peso o lo stile di vita della madre) incide moltissimo sulla lettura dei valori del tritest, motivo per cui i risultati non vanno mai presi in assoluto e sono invece da analizzare contestualmente ad altri parametri di riferimento e a un esame ecografico completo.
Come abbiamo anticipato esistono diversi esami da fare durante la gravidanza e tra questi si trova anche il cosiddetto bitest. Il bitest, a differenza del tritest, va eseguito tra l’undicesima e la tredicesima settimana di gravidanza.
L’altra differenza tra questi test è relativa alle sostanze presenti nel sangue che vengono esaminate. Nel Bitest, infatti, si verificano i livelli del PAPP-A e della gonadotropina cronica (le Beta HcG).
Inoltre il Bitest non permette di avere indicazioni su eventuali anomalie del tubo neurale. Per entrambi i test è doveroso poi sottolineare nuovamente come si tratti di esami che stimano la probabilità che una patologia cromosomica si presenti nel feto.
Bisogna valutare i valori del tritest complessivamente e, come detto, leggere i risultati anche insieme ad altri fattori (come l’epoca gestazionale, il peso della madre, i valori del diabete, etc.). In maniera sintetica è possibile riassumere i valori del tritest in questo modo:
Come indicato sul sito dell’Ospedale Civile di Brescia, “la probabilità che il feto sia affetto da Trisomia 21 è considerata elevata quando il risultato del Tritest è compreso tra 1/1 e 1/250”.
Trattandosi di una previsione per avere la certezza della presenza di anomalie genetiche del feto è di fatto necessario ricorrere ad ulteriori esami e diagnosi.
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