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Per individuare la probabilità di malformazioni cromosomiche esistono diversi test non invasivi, tra cui quello della translucenza nucale. Scopriamo quando, come e perché si esegue.
Con l’evoluzione scientifica e delle relative tecniche di diagnosi prenatale, è oggi possibile individuare fin dal primo trimestre la probabilità della presenza di tali condizioni. La translucenza nucale è una di queste e tra le primissime che è possibile eseguire e che permette di sospettare la presenza di anomalie cromosomiche tra cui la Sindrome di Down, la Trisomia 18 e la Trisomia 13.
La cosiddetta translucenza nucale è l’analisi non invasiva “che misura mediante l’ecografia lo spessore dello spazio sottocutaneo nucale che […] diagnostica circa il 75% dei casi, con una percentuale di falsi positivi del 5%”. È uno dei markers ecografici, come la misurazione dell’osso nasale, che consente di stimare le probabilità di anomalie cromosomiche nel feto.
Questo controllo viene eseguito generalmente tra l’undicesima e la quattordicesima settimana di gravidanza.
È importante sottolineare come i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), aggiornati nel 2017, stabilisce quali sono le “prestazioni sanitarie che il Servizio Sanitario Nazionale offre gratuitamente, senza pagamento di alcun ticket, alle coppie e alle donne in epoca preconcezionale e durante la gravidanza e in puerperio”.
Tra queste prestazioni sanitarie gratuite vi è anche il “test combinato che prevede un prelievo di sangue materno e un’ecografia per valutare la translucenza nucale”.
Ma come avviene questo controllo? Tramite una ecografia sovrapubica. Solo in rari casi l’analisi viene condotta tramite ecografia transvaginale. Durante l’ecografia viene misurato lo “spessore dello spazio, compreso tra la cute e la colonna vertebrale, presente dietro la nuca del feto (translucenza nucale) e visibile nelle immagini ecografiche come uno spazio chiaro perché liquido”.
I valori normali di riferimento sono quelli inferiori a 2.5 mm. Nel caso in cui la misurazione supera i 2.5 mm c’è il sospetto che il feto possa presentare delle anomalie cromosomiche.
Si tratta di valori di riferimento, indicativi, che non rappresentano una diagnosi precisa e definitiva della situazione. Inoltre, la lettura di questi valori deve essere affidata a un ginecologo specialista in diagnostica prenatale affinché possa valutarli correttamente.
Proprio perché non è sufficiente un valore singolo per stabilire uno screening valido, ma è l’insieme di più elementi che aumenta la probabilità di individuare una probabile anomalia cromosomica (per quel che riguarda gli esami non invasivi), nel primo trimestre di gravidanza si ricorre a un test combinato, detto anche Bitest. Si tratta di un esame che comprende una ecografia per la misurazione della translucenza nucale e un’analisi del sangue materno. I risultati ottenuti vengono messi in relazione con l’età della mamma e da questi dati si riesce a ottenere un test più accurato.
Va ricordato che si parla di probabilità e, per quanto con elevata attendibilità, non è mai una diagnosi certa.
A questo proposito è utile ribadire quanto specificato dall’Istituto Superiore di Sanità in materia di consulenza prenatale. Questa “deve essere parte integrante dello screening per definire le indicazioni e le caratteristiche del test, fornire informazioni sui rischi e sui benefici, discutere l’accettabilità dell’esame da parte della coppia e informarla delle possibilità̀ di assistenza disponibili oltre che del percorso per la donna/coppia nel caso in cui il risultato del test fosse positivo”.
Questo perché sia la translucenza nucale che il Bitest sono test che permettono di valutare un rischio, non di fare una diagnosi accurata. Infatti “il risultato del test combinato indica solo il rischio di una specifica sindrome cromosomica”. Per questo “un risultato negativo non garantisce che il feto non l’abbia così come un risultato positivo non garantisce che il feto ne sia colpito”.
A fronte di risultati positivi di questi test si può procedere con l’amniocentesi o la villocentesi che consentono di ottenere risultati precisi. La scelta se sottoporsi o meno a questi esami è comunque sempre della coppia, anche perché la presenza di un’anomalia cromosomica non costituisce necessariamente un motivo per interrompere la gravidanza.
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