L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che più del 40% delle donne in gravidanza siano anemiche. L’anemia è l’insufficiente quantità di globuli rossi necessari per trasportare l’ossigeno in tutto il corpo. Esistono diverse forme di anemia e secondo le stime dell’OMS la metà di quelle che interessano le gestanti siano dovute alla carenza di ferro. Si parla quindi di anemia sideropenica.

Tra i cambiamenti che interessano l’organismo femminile durante la gravidanza ci sono anche quelli legati alla quantità di sangue circolante. L’American Society of Hematology spiega che questo aumenta di circa il 20-30%, un incremento che determina un maggiore apporto di ferro e vitamine per produrre l’emoglobina, la proteina che nei globuli rossi si occupa di trasportare l’ossigeno alle altre cellule del corpo.

Per questo motivo un’anemia lieve può essere considerata normale, fisiologica, in gravidanza, mentre una forma più grave rappresenta un serio motivo di preoccupazione per la salute materna, l’esito della gravidanza, lo sviluppo del feto e il rischio per il bambino di sviluppare un’anemia durante l’infanzia.

Per diagnosticare questa forma di anemia in gravidanza, riferisce il Manuale MSD, si ricorre alla misurazione della sideremia, della ferritina e della transferrina. Concentriamo la nostra attenzione sulla sideremia in gravidanza e sulla ferritina in gravidanza.

Cosa sono sideremia e ferritina e perché monitorarle?

La sideremia, spiega l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), misura la quantità di ferro presente nel siero, la parte liquida del sangue. La ferritina, invece, l’entità delle riserve di ferro nell’organismo. L’esame della sideremia viene effettuato a digiuno da almeno 12 ore e richiede il prelievo di una piccola quantità di sangue da una vena del braccio. Il procedimento è lo stesso per il test della ferritina, ma di per sé questo non richiede di essere a digiuno anche se alcuni laboratori possono richiedere questa preparazione.

Scopo della sideremia è quello di comprendere se l’anemia è dovuta da una carenza di ferro o da una malattia cronica. Il test della ferritina, precisa l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), viene prescritto quando dall’emocromo emergono bassi livelli di emoglobina, una percentuale bassa di globuli rossi o si sospetta un eccesso di ferro.

Cosa succede a questi valori in gravidanza?

Idealmente tutte le donne incinte hanno il rischio di sviluppare un’anemia. Come evidenziato dal portale WebMD questo è dovuto proprio alla maggiore quantità di ferro e acido folico necessaria rispetto a una donna non in gravidanza. Il rischio aumenta nelle gravidanze gemellari, nelle gravidanze ravvicinate, nelle gravidanze nelle adolescenti, per il vomito costante causato dalla nausea mattutina e per una dieta povera di ferro.

In caso di anemia sideropenica grave o non trattata aumenta il rischio di parto pretermine, depressione post-partum, bambino con anemia o ritardi nello sviluppo.

Come e quando si effettua l’esame?

Gli esami della ferritina e della sideremia in gravidanza non rientrano tra quelli di routine previsti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il medio può prescrivere quando, a seguito dell’emocromo, individua segni di anemia. Il sospetto di un’anemia grave o oggetto di maggiore attenzione può derivare anche quando si sospetta una carenza di ferro (come nelle donne che seguono una dieta vegetariana o vegana) o quando la gestante riferisce sintomi particolari (come pallore, difficoltà respiratorie o estrema stanchezza).

Sideremia bassa: sintomi e cause

La sideremia bassa si verifica per una carenza di ferro nel sangue e si manifesta solitamente con stanchezza, debolezza, pallore, mal di testa, vertigini, fiato corto e mani e piedi freddi. Le cause derivano prevalentemente da un’inadeguata assunzione di cibo nelle donne in età fertile, perdita cronica di ferro con il ciclo mestruale e perdita di sangue da una gravidanza precedente.

Sideremia alta: sintomi e cause

La sideremia alta può essere causata da malattie genetiche, malattie renali o epatiche ed eccessiva introduzione di ferro. L’eccessivo accumulo di ferro può causare danni al fegato, al pancreas e al cuore ed è una condizione che si può manifestare con stanchezza, dolori articolari, perdita di capelli, problemi cardiaci, problemi alla pelle e diabete.

Alimentazione e integrazione: come mantenere i livelli corretti

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Fonte: iStock

L’alimentazione è la principale forma di assunzione di ferro. L’indicazione è quella di seguire una dieta che includa verdure a foglia verde scuro, carne rossa magra, pollame, pesce, cereali fortificati, fagioli, noci, uova e arachidi. In linea generale è utile assumere almeno 27 mg di ferro al giorno. Parallelamente è importante anche considerare l’assunzione di alimenti ricchi di vitamina C che possono aiutare l’organismo ad assorbire più ferro. Tra questi alimenti ci sono gli agrumi, i kiwi, le fragole, i pomodori e i peperoni.

Per quel che riguarda gli integratori di ferro, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne raccomanda l’assunzione giornaliera (insieme all’acido folico) per ridurre il rischio di basso peso alla nascita, anemia materna e carenza di ferro. L’indicazione è di prevedere tra i 30 e i 60 mg di ferro da iniziare il prima possibile sin da subito dopo il concepimento.

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