L’epatite C è un’infezione trasmessa da un virus che attacca il sistema epatico, causando gravi problemi a carico del fegato, come cirrosi, cancro e insufficienza epatica.

Nel momento in cui si contrae l’infezione il sistema immunitario attiva degli specifici anticorpi che cercano di contrastarla: questi possono essere rilevati con un apposito esame di laboratorio su un campione di sangue, il test degli anticorpi anti-HCV.

Test anti-HCV: cos’è?

In gravidanza è opportuno valutare, se esistono fattori di rischio, l’eventuale presenza dell’infezione, che può essere trasmessa dalla donna al feto (anche se, come vedremo, non è ancora chiaro in con quali effetti per il nascituro). Come riportano le Linee guida del Ministero della Salute

L’epatite C è un grave problema di sanità pubblica ed è una delle principale cause di cirrosi epatica, carcinoma epatocellulare e insufficienza epatica. Il virus può essere trasmesso attraverso trasfusioni di sangue, somministrazione di terapie per via iniettiva, tatuaggi, piercing e verticalmente dalla madre al figlio.

Per riconoscere la presenza dell’infezione si esegue un test di laboratorio su un campione di sangue, ricercando degli specifici anticorpi anti-HCV. L’esame viene prescritto inoltre per monitorare l’andamento delle terapie nel caso di infezione già diagnosticata.

Esame anti-HCV in gravidanza: quando farlo?

Sempre secondo le indicazioni del Ministero della Salute alle donne in gravidanza non viene prescritto di routine lo screening per l’epatite C, la cui efficacia non è stata dimostrata:

La ricerca degli anticorpi anti-HCV deve essere circoscritta alle donne appartenenti alle categorie a rischio per infezione da HCV. Questa raccomandazione attribuisce valore alla mancanza di strategie comportamentali o terapie di provata efficacia in grado di ridurre la trasmissione verticale di HCV.

L’esame viene prescritto quindi nel caso in cui la donna rientri nelle categorie a rischio per l’infezione, che sarà segnalata dal medico. Non si tratta, tuttavia, di una delle patologie considerate certamente pericolose per lo sviluppo del feto, ed è inoltre difficile, in assenza di altre patologie (come l’infezione da HIV), che l’infezione sia trasmessa al feto:

I  dati a disposizione relativi all’infezione da HCV in gravidanza sono scarsi e non sembrano evidenziare un aumento del rischio di complicanze ostetriche o perinatali (malformazioni congenite, distress fetale, natimortalità o nascite pretermine) nelle donne con HCV rispetto alle non infette. La gravidanza non sembra influire negativamente sul decorso clinico dell’infezione da HCV. È stato osservato un aumento dei casi di colestasi gravidica nelle donne HCV positive. Limitatamente ai rari casi di epatopatia avanzata e complicata da varici esofagee e disturbi della coagulazione, va considerato il rischio di emorragia intraparto e di rottura delle varici. Il rischio di trasmissione materno fetale è di 3%-5% e sembra correlato alla viremia materna. Il rischio di trasmissione verticale aumenta notevolmente (fino a 40%-60%) se la madre ha contemporaneamente una infezione da HIV. Il decorso nei neonati infetti è generalmente benigno nel breve e medio termine.

Il test si esegue tra la 33^ e la 37^ settimana di gravidanza: l’esame è volto a individuare gli anticorpi anti-HCV nel sangue, tramite il test ELISA. Se il risultato dell’esame è positivo si esegue un nuovo esame per confermare l’esito, sullo stesso campione di sangue.

Se il risultato è nuovamente positivo si esegue un secondo prelievo e viene quindi effettuato un nuovo test per la conferma della diagnosi.

Test anti-HCV positivo: cosa significa

Se anche il nuovo test si conferma positivo, ed evidenzia quindi la presenza di un’infezione da epatite C, la donna viene indirizzata verso un percorso di counselling per poi intraprendere una terapia specifica. Per quanto riguarda la terapia dell’epatite C in gravidanza, ricordano ancora le Linee guida, se l’epatite C viene individuata in gravidanza

Non sono attualmente disponibili strategie comportamentali o terapeutiche in grado di ridurre la trasmissione verticale (dalla madre al feto) di HCV. Nonostante i dati di letteratura individuino il periodo del parto come quello più importante per la trasmissione materno-fetale, le due modalità di trasmissione (in gravidanza e intraparto) non sono ancora state confrontate. Il decorso clinico dell’HCV nei bambini che hanno acquisito il virus dalla madre non è chiaro.

Una positività non indica solo se l’infezione è in atto ma anche se è stata contratta in precedenza: ecco perché è opportuno che i pazienti positivi siano sottoposti a un esame per cercare l’RNA del virus, segnale di un’infezione in corso.

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