Pochi hanno davvero visto un embrione in provetta, io sì. Se tutti lo vedessero forse certi punti di vista cambierebbero“. Per cominciare potrebbe cadere il divieto, oggi in vigore in Italia, di fare ricerca sugli embrioni. Ne è convinta Marta Baiocchi, biologa che studia le cellule staminali da anni, e alla ricerca in laboratorio affianca la divulgazione.

Il suo ultimo libro si chiama In utero e fa il punto sui – molti – modi di diventare madre oggi: “Mancava un testo che facesse il punto sull’aspetto biologico del concepimento, quindi ho scelto di raccontare come stanno le cose partendo dai fatti, al di là delle opinioni sulle varie tecniche, nell’idea che non sempre si conosce bene l’aspetto tecnico di ciò di cui si parla”.

Scienza e cultura, un rapporto complesso

Dalle convinzioni passate (il libro la prende con ironia e alla lontana, parte dalla Mandragola di Machiavelli per raccontare le più strampalate credenze passate in tema di riproduzione) fino allo sviluppo delle tecnologie di procreazione assistita e arrivando quindi alle tecnologie nascenti e alle prospettive future.

La scienza si mescola (non sempre in modo fluido) alle strutture sociali, ma, spiega Marta, “da un punto di vista biologico la genitorialità ha a che fare con la trasmissione genetica: riguardo questo aspetto c’è chi sostiene che la specie umana, con la modifica genetica, potrebbe arrivare un giorno a trasformare se stessa in qualcos’altro. La modifica genetica terapeutica invece è molto più vicina: potrebbe anche arrivare nel giro di pochi anni ma non si può mai sapere, dipende dalle autorizzazioni e dalle commissioni bioetiche dei Paesi in cui si sta studiando“.

Del futuro del concepimento pare destinata ad occuparsene sempre di più la scienza, anche stando alle notizie che raccontano di un calo della fertilità del 50% negli ultimi 70 anni: “Il libro si chiama In utero ma parla parecchio di quel che accade e che sempre di più accadrà fuori dall’utero. Si parla di come la ricerca, nel corso dei secoli, sia arriva a capire il ruolo dell’uomo e soprattutto della donna nella fecondazione, poi ci si sposta a discutere dello stato attuale della fecondazione in vitro, della donazione di sperma e ovociti, oltre a toccare l’argomento della gravidanza surrogata“.

“I problemi di fertilità sono reali: bisognerebbe pensarci prima”

Altro argomento è quello della fertilità femminile: spesso ad accedere alle tecniche di fecondazione assistita sono donne già “anziane” da un punto di vista della fertilità, cioè sopra i 38 -40 anni. Succede – spiega Marta Baiocchi -per cause sociali e non per patologie preesistenti, ma l’efficacia delle terapie di procreazione assistita a quell’età è inferiore”.

L’alternativa, continua Marta, “è l’ovodonazione, altrimenti ci si può ritrovare a ripetere innumerevoli cicli di pma, stressanti e faticosi, e alla fine dover ricorrere all’ovodonazione. Però un’alternativa oggi percorribile è il congelamento dei propri ovociti giovanili, quelli più fertili, per utilizzi futuri. Oggi è disponibile solo presso le cliniche private, ma in molti chiedono che sia lo stesso Sistema sanitario nazionale a offrirla gratuitamente alle donne giovani.

Il confine (fragile) tra selezione e eugenetica

Senti parlare di “selezione” e “geni” e subito scattano le trappole dell’eugenetica, sia pure – e questa è la linea su cui si muove la ricerca scientifica – per prevenire alcune gravi patologie. Questione spinosa: chiunque la tocchi finisce per scottarsi.

Marta Baiocchi non si tira indietro e approfondisce il tema: “Lo studio dei geni, di cui conosciamo sempre di più ma non abbastanza, ci può permettere già oggi di scartare malattie come la talassemia e la fibrosi cistica. In questo modo si apre la possibilità di selezionare più elementi: prendi i geni e li modifichi all’interno dell’embrione. L’eugenetica, però, non pone solo problemi di tipo etico: ci si interroga anche sulle possibilità di adattamento dell’essere umano. Ci sono geni che sono vantaggiosi da una parte e svantaggiosi dall’altra. Bisogna studiarli molto attentamente“.

Senza dubbio, continua Marta, “con l’eugenetica bisogna andarci con i piedi di piombo, perché non sappiamo cosa fanno tutti i nostri 30mila geni. Molti aspetti non dipendono poi da un solo gene ma dalla loro collaborazione. Oggi studiamo questi aspetti, ma tante cose rimangono ancora ignote. La questione rimane un incerto biologico: si parla ad esempio dei geni correlati al cancro perché oggi si conoscono meglio, ma non sappiamo ancora con certezza quali modifiche possono intervenire se li selezioniamo in un certo modo“.

Di una cosa Marta è convinta: “Quando parliamo di eugenetica la associamo ai regimi totalitari, ma se assisteremo a un indirizzo genetico sarà per un moto che arriva dal basso. Saranno le donne, le famiglie, a scegliere, non sarà un’imposizione“.

Selezionare per migliorare? Non è detto che sia così

Da una parte (l’inesorabile?) calo della fertilità, dall’altro le prospettive aperte dalla fecondazione non-in-utero. Nel mezzo l’evoluzione delle tecniche di procreazione assistita. Fino a pochi anni fa la legge impediva l’accesso alla fivet alle coppie che non avevano problemi di fertilità, escludendo così chi voleva prevenire le malattie genetiche dei propri figli.

Oggi le cose sono cambiate, e l’accesso è garantito anche alle coppie fertili ma con patologie genetiche, che possono conoscere lo stato di salute dell’embrione tramite la diagnosi genetica preimpianto.

Se oggi è possibile individuare i geni della talassemia e della fibrosi cistica, in futuro potrebbe essere possibile studiare anche quelli legati ai tumori, continua Marta Baiocchi: “Prima non si poteva, adesso invece possiamo guardare tutto quello che succede a livello genetico, ma cosa fanno effettivamente tutti i geni lo sappiamo solo in parte, e nessuno garantisce che modificandoli poi si stia meglio“.

Entrando nel campo delle ipotesi le idee su quel che potrebbe succedere in futuro non mancano, pur con tutte le cautele necessarie: “Se i genitori dicessero, un domani: ‘voglio che mio figlio abbia un Q.i. più alto e una minore propensione alla depressione’, ad esempio, anche ammesso che si possa fare – conclude Marta – non sappiamo se i geni che determinano una cosa e l’altra servono anche ad altro e, di conseguenza, cosa comporterebbe una loro modifica. Certo impedire un moto dal basso nel caso di una scelta migliorativa per la vita dei propri figli sarà difficile“.

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