Per alcuni è un sogno, per altri un incubo senza regole. Parliamo della scuola senza voti.

Molti pedagogisti sono convinti che sia necessario trasformare il metodo di valutare l’apprendimento degli studenti, mentre molti professori (e spesso anche i genitori) sono restii a eliminare i giudizi. Ma come funziona nella pratica? E quali sono i pro (e i contro)?

Come funziona la scuola senza voti?

Sfatiamo subito un mito: non è vero che nella scuola senza voti non si studia, non si fanno verifiche o non si viene assolutamente valutati. Il giudizio, però, viene sostituito da altri strumenti che non solo tengono conto delle diverse inclinazioni e competenze degli alunni, ma che vengono anche condivisi e spiegati in modo da essere un feedback positivo che si traduca in un momento di crescita piuttosto che un giudizio secco e inappellabile.

Nella pratica, ogni scuola adotta un sistema sperimentale: in alcuni i casi i voti vengono segnati ma non condivisi, in altri il numero viene sostituito da una valutazione discorsiva più ampia durante il percorso scolastico, anche se i voti sono sempre presenti a fine anno, come previsto dalla normativa di riferimento.

Quante scuole senza voti ci sono in Italia

In Italia le scuole senza voti sono circa una decina, un numero che cresce progressivamente, mentre alcune scuole (è il caso di quelle dell’Alto Adige) scelgono di abolire solo quelli negativi.

Il primo tentativo è stato quello di una scuola di Cesena dell’a.s. 2016/17, seguita dalla scuola Aldo Moro e la Cesare Battisti di Terni, che hanno adottato un progetto sperimentale nel 2019/2020. A Roma, sono senza voti il liceo Morgagni e il liceo Peano, mentre da settembre 2022, anche l’Istituto Marco Polo-Cattaneo ha aderito alla scuola senza voti. O, meglio, i voti ci sono ma, ha spiegato la dirigente scolastica Anna Tiseo, “non sono visibili a genitori e alunni, così vivono consapevoli e motivati“.

Benefici e vantaggi della scuola senza voti

Guardate solo al voto non all’impegno che c’è dietro, ci vedete come numeri che, se sono sotto al 6, sembrano destinati a diventare sempre più bassi. Ma il vostro compito è quello di farci crescere, non inchiodarci.

Così scriveva Andrea Schiavon nel suo libro Don Milani. Parole per timidi e disobbedienti.

“Inchiodarci” è la parola chiave: i voti (quelli buoni, così come quelli cattivi) legano indissolubilmente gli studenti al giudizio che ricevono, sia esso numerico o espresso in altre forme, come nel tentativo introdotto dalla legge 41/2021 che ha sostituito i voti con quattro giudizi descrittivi relativi a quattro diversi livelli di apprendimento. Il voto, e non l’apprendimento, diventa l’unico obiettivo degli studenti, e spesso dei loro genitori.

Questo, spiegano i sostenitori della scuola senza voti, ha un duplice effetto: non solo spinge i ragazzi a puntare solo al numero in pagella, ma li riduce a quel numero, spingendoli a pensare che, se non è abbastanza alto è perché loro non valgono abbastanza. Chi prende 3 si sentirà una persona da 3, convinta di non poter aspirare a nient’altro.

Ma la situazione non è migliore per i “primi della classe”: da chi ha voti alti ci si aspetta sempre, e solo, l’eccellenza. Qualsiasi cosa al di sotto diventa, inevitabilmente, un fallimento, che schiaccia sotto il peso della responsabilità ragazzi e ragazze il cui “successo” nella vita viene dato per scontato, quando scontato non è. Ragazzi e ragazze per cui l’obbligo di performare può tradursi nel gifted kid burnout, ovvero «l’esaurimento cronico che deriva da una discrepanza tra l’individuo e il suo ambiente educativo».

L’abolizione dei voti alla Scuola Primaria è la scelta giusta per evitare un inutile stress in un’età che non ha bisogno di giudizi e valutazioni ansiogene data la plasticità del cervello infantile normalmente disponibilissimo all’apprendimento. In particolare, le valutazioni basate su risposta esatta/risposta sbagliata appaiono quelle più anacronistiche e senza alcun valore scientifico. Il problema non è quanto il bambino “sbaglia”, ma quanto aumentano le sue competenze rispetto ai propri personali punti di partenza che sono estremamente diversi. Basti pensare ai bambini di 1^ elementare che possono avere anche un anno di differenza l’uno dall’altro che dal punto di vista psicoevolutivo è un’eternità.
Occorre abbandonare i vecchi metodi e puntare sulla valutazione evolutiva, ossia sul riconoscimento graduale dei progressi dell’alunno.

Ha spiegato Daniele Novara, pedagogista e fondatore e direttore del CPP, Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti.

Del resto, i voti spesso non sono coerenti tra insegnante e insegnante – talvolta nemmeno per lo stesso insegnante – ed è difficile pertanto che possano rappresentare realmente il livello di apprendimento di chi va a scuola.

Limiti e potenziali problemi

Riusciamo a immaginare davvero una scuola senza voti? Una scuola che rinunci a pensare che gli studenti abbiano bisogno di giudizi (e paura) per essere motivati o che la scuola debba “temprarli” preparandoli agli inevitabili giudizi che riceveranno nella vita? O che debba instillare in loro la “competizione” che gli permetterà di spiccare sugli altri?

La risposta al momento non può essere affermativa. Non solo perché l’apprendimento senza voti continua a incontrare enormi resistenze, ma anche perché realizzarlo davvero significherebbe attuare una profonda trasformazione del modo in cui pensiamo e attuiamo l’insegnamento e l’apprendimento.

Senza questo passaggio, eliminare i voti sarebbe solo un’opzione di facciata, che forse non renderebbe i ragazzi pigri e lassisti ma che certamente non darebbe loro strumenti per imparare e autovalutarsi, oltre a imparare a ricevere le valutazioni altrui, che potrebbero fare la differenza.

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  • Bambino (1-6 anni)