L’utilizzo dei plantari per bambini è considerata una delle principali terapie conservative per diverse condizioni ma la sua efficacia e i suoi effetti, come evidenziato in questo studio dell’Indian Journal of Othopaedics, restano ancora incerti.

È quindi utile fare chiarezza sul ricorso a questo strumento andando a individuare in quali casi possono davvero rivelarsi utili, a quale età valutarne l’utilizzo e per quali condizioni vanno considerati.

A cosa servono i plantari per bambini?

Il portale WebMD definisce i plantari come dei dispositivi medici (soggetti quindi a prescrizione) che vanno indossati all’interno delle scarpe per correggere problemi biomeccanici del piede. Tra questi rientrano i problemi relativi alla deambulazione, al modo di camminare o a quello di stare in piedi o correre.

In alcuni casi questi dispositivi medici possono contribuire ad alleviare il dolore ai piedi causato da fascite plantare, borsite, artrite o altre condizioni mediche.

Per comprendere e contestualizzare meglio la questione dell’utilizzo dei plantari per bambini, è utile anche ricordare cosa si intende per deambulazione o cammino. L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù lo indica come un movimento armonico, simultaneo e coordinato tra tronco, bacino e arti con l’obiettivo di avanzare nello spazio in sicurezza. Questo è il cammino fisiologico; condizioni dissimili da esso possono essere intese come disturbi della deambulazione.

Va anche ricordato come il bambino inizi (non impari) a camminare a partire dai 12-15 mesi e che non esiste un modo di camminare unico. Questo può essere influenzato da segnali somatosensitivi, vestibolari o visivi. Non tutti i disturbi della deambulazione, quindi, hanno necessariamente una causa ortopedica. Anzi, alla base di questi spesso ci sono disturbi neurologici, condizioni dolorose o alterazioni del sistema muscolo-scheletrico.

In questo interessante studio si sottolinea, tra le altre cose, i piedi dei bambini abbiano caratteristiche, forma e dimensioni particolari che cambiano in modo significativo con la crescita. Lo sviluppo delle capacità motorie è influenzato anche dallo sviluppo funzionale del piede che determina cambiamenti strutturali sia a livello delle ossa che dei tessuti molli.

Fondamentalmente solo intorno ai 7 anni l’arco plantare raggiunge i livelli dell’adulto diventando stabile. A incidere sullo sviluppo del piede e dell’andatura del bambino ci sono anche le calzature che indossano che, proprio per la rapidità con cui, specialmente nei primi tre anni, il piede cresce e si modifica il bambino dovrebbe sostituire le calzature ogni 2-3 mesi.

Questa lunga premessa è utile per comprendere come nella maggior parte dei casi l’uso dei plantari per i bambini non è giustificato, se non in alcune specifiche condizioni.

In quali casi i plantari sono consigliati?

La maggior parte dei fenomeni di “anomalie” nella camminata nei bambini (piedi piatti, piedi rivolti verso l’interno, ginocchia valghe, camminare in punta di piedi) si risolvono spontaneamente nei primi anni di vita. Anche le condizioni che si protraggono oltre i primi 3 anni spesso non necessitano di alcun tipo di intervento (anche conservativo).

La Pedorthic Association of Canada indica le seguenti condizioni cui l’utilizzo dei plantari può essere valutato: andatura anomala che comporta un’usura delle scarpe, disallineamento della fascia plantare, cadute ripetute, difficoltà a correre come i coetanei, dolore ai piedi, alle gambe, alle ginocchia o alla schiena, deformità dei piedi, stanchezza precoce durante la partecipazione ad attività fisica, sviluppo di calli e protuberanze e ginocchia o caviglie disallineate.

L’uso dei plantari ha come obiettivo quello di riposizionare il piede in una posizione biomeccanica migliore contribuendo alla riduzione o alla completa scomparsa dei sintomi. La valutazione di uno specialista, proprio in virtù della particolare condizione di sviluppo pediatrica, è sempre dirimente per comprendere se (e quale tipologia) di plantare utilizzare.

Plantari e piedi piatti: sono davvero utili?

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Fonte: iStock

Un discorso a parte lo meritano i cosiddetti piedi piatti. L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù la definisce come la condizione per cui la pianta del piede tocca il pavimento quando il bambino è in posizione eretta. Gli archi plantari normalmente, invece, dovrebbero tenere la parte interna della pianta del piede staccata da terra.

Fino ai 3 anni quella dei piedi piatti è una condizione fisiologica dovuta alla presenza di grasso nel tessuto dei piedi. Con la crescita e il rafforzamento delle ossa del piede, della muscolatura e dei legamenti, il piede assume una forma e una funzione adeguata. Questo processo si completa intorno ai 6-7 anni di età.

L’uso dei plantari per i piedi piatti non è comunemente accettato, ma è oggetto di opinioni contrastanti. In alcuni casi può rivelarsi utile fornire un supporto al piede parallelamente all’esecuzione di esercizi di ginnastica rieducativa. Il ricorso ai plantari per bambini con piedi piatti si valuta con maggiore attenzione in presenza di sintomi gravi come dolore e disabilità che influenza la vita quotidiana del bambino. In questi casi l’uso prolungato dei plantari (per un periodo di 2 anni) può alleviare i sintomi associati a questa condizione.

A che età i bambini possono indossare i plantari

Come abbiamo visto, molto dipende dal disturbo sottostante che il plantare mira a correggere o alleviare. In generale l’indicazione è di non indossarli prima dei 3 anni in quanto non vi sono evidenze che ne giustifichino l’utilizzo considerando i rapidi cambiamenti e sviluppi che in questa fase il bambino, anche dal punto di vista anatomico e funzionale del piede, va incontro.

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  • Bambino (1-6 anni)