
I bambini iperattivi sono irrefrenabili e stargli dietro è difficile e faticoso, ma se quella carica di energia nascondesse qualcosa di serio? Vi ...
Le manifestazioni di rabbia nei bambini possono essere frequenti e apparentemente incomprensibili; in realtà nascondono una richiesta di amore. Ecco come affrontarle nel miglior modo possibile secondo la psicologa.
Per la psicologa, la rabbia è un’emozione proprio come tutte le altre. La cultura occidentale, negli anni, l’ha connotata negativamente; e questo ha prodotto un effetto di inibizione della rabbia stessa, che si ritiene debba essere contenuta senza esternarla:
La rabbia è un’emozione assolutamente necessaria all’individuo; e, proprio come tutte le altre, questa emozione deve trovare forme espressive, ne ha bisogno.
Per capirla meglio, possiamo considerare il punto di vista dello psicanalista Wilhelm Reich, che ne dà un’interpretazione molto interessante:
Per Reich la rabbia è intimamente legata alla frustrazione. Quando un bisogno viene frustrato, ci si arrabbia; è una sorta di auto-trattamento: lo facciamo per mascherare il dolore per la mancanza di qualcosa che non si è ottenuto.
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Per l’esperta, il presupposto da cui bisogna partire è che un bambino che si arrabbia è un bambino che sta tentando di auto-affermarsi:
Dire di no, per lui, significa sperimentare un po’ di autonomia in seguito al tempo della prima infanzia, in cui è stato totalmente dipendente dalla mamma. Occorre leggere il “no”, anche quando sembra incomprensibile e immotivato, come una manifestazione del bambino per affermarsi come essere che esiste: “dico no perché ci sono”.
Questi “no”, solitamente, arrivano tra i 2 e i 3 anni, quando il bambino inizia a parlare e a camminare. Secondo la dottoressa Margherita Ginevra Ferrari, anche quando le manifestazioni di rabbia sembrano insensate, il bambino sta in realtà testando i propri limiti:
Il bambino ci sta manifestando qualcosa, a volte anche con grande sofferenza, buttandosi a terra, scalciando, con pianti e urla. E di fronte a questo, i genitori devono innanzitutto mettersi in ascolto.
Ma come si manifesta concretamente la rabbia? Quand’è che il nostro bambino sta sperimentando questa emozione? Alcuni segnali sono il capriccio, l’assoluta tendenza a dire di no (anche quando ci si aspetta un sì), il mettere il muso o il gettarsi a terra. Questo può capitare, per esempio, nel momento della messa a letto:
Il bambino dice “no” a tutti i piccoli rituali da svolgere: “non mi lavo i denti“, “non vado a dormire a quest’ora”, “il mio letto non mi piace”, o afferma di aver visto mostri e fantasmi nella camera. Tutti questi atteggiamenti stanno in realtà a significare che il bambino ci sta comunicando qualcosa, e che vuole attirare il nostro amore e la nostra attenzione.
Il punto fondamentale che i genitori dovrebbero aver ben chiaro, secondo la psicologa, è che il bambino ci chiede di essere amato e apprezzato, anche quando è arrabbiato. Anche se i suoi sfoghi fanno pensare a tutto tranne che a questo, è fondamentale capirlo ed è importante ricordarsene, specialmente durante le manifestazioni di rabbia. Di fronte a uno sfogo di rabbia bisogna innanzitutto mantenere la calma:
Se il bambino vede il genitore arrabbiarsi a sua volta quanto lui o addirittura più di lui, allora non avrà più riferimenti. Il bambino, con i suoi capricci e i suoi “no”, ci mette alla prova. Per questo bisogna assolutamente entrare nella dinamica di porre dei limiti. I bambini necessitano di regole e inconsciamente le vogliono; regole chiare e precise sono in realtà proprio quelle che ci stanno chiedendo: “dammi una regola, aiutami a contenere”, soprattutto in termini emotivi.
Inoltre, una volta sbollita l’arrabbiatura, è molto importante far parlare il bambino evitando il tono accusatorio o il senso di colpa:
Dire, per esempio, “quando fai così la mamma si dispiace molto”, è sbagliato: significa caricare il bambino di un peso che non gli compete.
Margherita Ferrari Ginevra propone ai genitori un metodo, quello di condividere con i bambini un vocabolario dei sentimenti:
Costruire un linguaggio familiare condiviso aiuta il bambino a nominare le sue sensazioni e le sue emozioni, di cui non ha piena consapevolezza. Per esempio, si può chiedere al bambino come si è sentito quando si è arrabbiato; è molto importante creare un vocabolario familiare condiviso a cui potersi riferire.
Dopo aver imparato a riconoscere le sue emozioni e a nominare la rabbia, il bambino deve imparare a gestirla e a canalizzarla. Per farlo, le modalità simboliche sono fondamentali. Un metodo, proprio della pedagogia montessoriana, è quello di preparare con lui un barattolo o una piccola scatola, in un momento di tranquillità. Si spiega al bambino che quella è la scatola della rabbia, e che può metterla lì dentro quando si arrabbia, per poi parlarne insieme quando sarà calmo.
Questo tipo di modalità simbolica è molto utile e d’aiuto al bambino, perché invece di arrabbiarsi potrà incanalare la sua rabbia lì dentro. Il genitore fa il suo, ma il bambino deve trovare una via mediana per tranquillizzarsi da solo, deve pian piano trovare delle proprie strategie per calmarsi.
Ci sono naturalmente anche casi di disagio particolarmente gravi, quando il bambino lancia oggetti o si fa del male. Quei casi vanno indagati con la psicoterapeuta.
Secondo la psicologa, è controproducente alimentare un’escalation di rabbia. Bisogna evitare in tutti i modi di rispondere alla rabbia del bambino arrabbiandosi a propria volta.
Non dimentichiamoci che il bambino in realtà ci sta mettendo alla prova.
Insomma, calma e sangue freddo. E la trattativa col bambino è una pessima strategia, perché se trattiamo con lui ci abbassiamo al suo livello e non risponderemmo al nostro compito:
Non bisognerebbe mai trattare col bambino, proprio perché lui, inconsciamente, ci sta chiedendo delle regole; noi, in quanto adulti e genitori, siamo chiamati a dargliele, perché sono necessarie alla sua crescita.
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