Le domande più strane che ti fa un bambino (e cosa rispondere)

La leggendaria curiosità dei bambini si traduce spesso in un torrente di domande dalla difficile risposta. Ma quali sono le domande più strane dei bambini? E soprattutto, come si può rispondere?

Si comincia intorno ai tre o quattro anni, e si finisce probabilmente solo nella fase dell’ostinato mutismo adolescenziale. La curiosità dei bambini – e spesso anche come la loro logorrea – è proverbiale (e talvolta anche piuttosto inopportuna). Ma quali sono le domande più strane che ti fa un bambino? E soprattutto: cosa rispondere?

Le domande “Siamo fatti così”

domande dei bambini

Un grande classico che attanaglia tutti i genitori da almeno un paio di generazioni: le domande sulla sessualità, la riproduzione e lo sviluppo del corpo. L’elenco è lungo e potenzialmente fonte di qualche imbarazzo materno e paterno: come sono uscito dalla tua pancia? E (soprattutto!) come ci ero entrato? Perché i maschi sono così e le femmine sono cosà? Perché tu è papà avete i peli? Cosa ti succede lì sotto una volta al mese?

Con tutte le varianti possibili e immaginabili, più o meno dettagliate. La mia soluzione? Rispondere in maniera sincera e coerente, per quanto semplice. Senza tergiversare, temporeggiare né tantomeno ricorrere a metafore, allusioni vaghe e storielle. Personalmente, preferisco che i miei figli conoscano il loro corpo fin da subito, e crescano vivendo la sessualità in maniera più naturale e serena possibile. Bando dunque all’imbarazzo, e via con le risposte “scientifiche” e autentiche.

Le domande “Mai una gioia”

Sono quelle che, per certi versi, mi mettono più in difficoltà, come madre e come essere umano. Le domande sulla morte, sul lutto, sulla perdita, sulla malattia. Le domande sulla sofferenza e sul dolore. Non so perché mi mandino un po’ in crisi: forse il problema è che la società contemporanea occidentale ha in un certo senso tentato di censurare la morte e la malattia, forse per coltivare l’illusione di averle sconfitte e controllate.

Così, se fino a qualche generazione fa la sofferenza, il lutto e la separazione facevano parte dell’esperienza esistenziale di chiunque (e anche per i bambini diventavano presto realtà in qualche modo familiari), adesso pare di vivere nel continuo rifiuto del dolore e della morte, di fingere che non esistano finché, purtroppo ma inesorabilmente, non ci toccano da vicino.

Anche in questo caso, personalmente cerco di rispondere ai miei figli a cuore aperto, senza fare appello a leggende, miti o dogmi religiosi. Parlo della morte come di una fase naturale del ciclo della vita, e della malattia come di un evento che colpisce tutti e che si può affrontare con l’aiuto di chi ci ama.

La difficoltà – per me enorme – subentra dinanzi a situazioni strazianti come la malattia infantile e giovanile. Sofferenze incomprensibili per me che sono adulta, per cui davvero non riesco a “spiegarle” ai miei bambini.

Anonimo

chiede:

Le domande “National Geographic”

bambini curiosi

Quelle a cui qualche mamma spera di sottrarsi liquidandole con un “chiedi a tuo padre”, peccato che non esiste alcuna legge che vuole i genitori maschi più esperti in fatto di scienza, tecnologia e dintorni (e difatti il papà di turno finisce quasi sempre col replicare: “Sono impegnato, torna dalla mamma!”).

Anche qui abbiamo l’imbarazzo della scelta. Si va da “Cosa contiene la pipì?” a “Perché la cacca puzza?” (tratto da una storia vera), passando per ogni possibile interrogativo sull’ossidazione della frutta e dei metalli, sul funzionamento di computer, elettrodomestici, robot, navi, treni, aerei e navicelle spaziali, sull’etologia ed ecologia delle specie animali più disparate, sulla fotosintesi, sui fulmini e sull’arcobaleno.

Senza dimenticare i sempreverdi dinosauri, che a quanto pare sembrano esercitare un appeal irresistibile solo sui bambini under 10 e su Alberto Angela. Per le risposte, manco a dirlo, ce la si può cavare consultando il vero National Geographic o, più banalmente, Wikipedia. Oppure, come io faccio spesso, concedersi un umanissimo e franco “non ne ho idea”.

Le domande “sindacaliste”

I bambini, o perlomeno quelli che vivono a casa mia, sembrano avere uno spiccato senso della giustizia, o meglio sono bravissimi a notare le situazioni di iniquità e disparità. A patto, naturalmente, che siano a loro sfavore. “Perché la fetta di torta di mio fratello pesa 3,4 grammi più della mia? Perché io ho soltanto quattro Barbie e la mia amica Cesira ne ha 123? Perché mia sorella ha scelto i cartoni animati due sere di fila?”

E via a seguire, in un crescendo di rivendicazioni sindacali che farebbero impallidire la buonanima di Che Guevara. Le risposte le lascio alla vostra materna (e paterna) fantasia. E sappiate se vi comprendo alla perfezione se ogni tanto vi scappa un fragoroso “Perché sì, e basta!”.

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  • Bambino (1-6 anni)