Trovare un senso alla morte è spesso il grande problema della vita. Lo è per gli adulti, figuriamoci per i bambini. Come spiegare la morte ai bambini?

Farlo è quindi un motivo di profonda responsabilità, ma anche dubbio, timore e paura. Da una parte c’è l’esigenza di motivare l’assenza di una persona cara, dall’altra il timore dei genitori (ma anche degli educatori) di non ferire e spaventare i bambini. Senza dimenticare che bisogna trovare parole e concetti utili per spiegare una realtà enorme.

La morte è un’esperienza che lascia tutti senza fiato e che diventa difficilissimo da spiegare ai bambini. E lo è ancor di più in questo periodo di pandemia da Coronavirus dove molti hanno perso nonni, parenti e amici; dove la paura di perdere un proprio caro è elevata, dove i bambini, anche se piccoli, percepiscono la novità di un momento storico inedito e allo stesso tempo tragico.

In questo contesto abbiamo intervistato la dottoressa Giulia Spina, psicologa dell’età evolutiva di Brescia, con la quale abbiamo cercato di rispondere alle principali domande sul processo di elaborazione del lutto infantile. Un argomento enorme e spinoso, ma che merita di avere un supporto adeguato per poter essere gestito nel miglior modo possibile.

Come spiegare la morte ai bambini fino ai 3 anni

Dottoressa Spina, ci aiuta a capire che cosa comprende un bambino di ciò che gli accade intorno? Quanto è influenzato dalla tristezza delle persone a lui vicine?

Per cominciare partirei con alcuni aspetti teorici che cerco di rimandare con parole semplici. La comprensione del concetto di morte da parte dei bambini è fortemente influenzata dalla fase di sviluppo, in cui si collocano, e dalla loro concezione della vita. A partire dall’infanzia, chi sperimenta la perdita di una persona cara, di un familiare o anche di un animale domestico entra a contatto con l’esperienza del lutto, ossia con la percezione soggettiva della morte di una figura importante.

Fino ai 3 anni i bambini possiedono ancora una limitata comprensione degli eventi accidentali, del futuro e del passato e della differenza tra essere vivi e non esserlo, pur essendo sin dalla nascita reattivi alle emozioni che circolano nel proprio ambiente familiare. In tale fase di sviluppo i bambini non hanno ancora acquisito l’abilità cognitiva della “costanza dell’oggetto”, ossia la concezione che le altre persone continuano ad esistere anche quando non possono essere viste o toccate. Ne consegue che non avvenga a quell’età una distinzione razionale tra vita e morte, ma che quest’ultima venga, piuttosto, associata al dormire o a uno stato di passività.

Come spiegare la morte ai bambini dai 3 ai 5 anni

Quando i bambini sono più grandi che cosa accade nel loro mondo interno?

Dai 3 ai 5 anni avviene un’evoluzione nel cervello dei bambini, grazie alle prime esperienze di socializzazione e di distacco dalle figure primarie, per cui il concetto della morte comincia a consolidarsi in modo più definito nella loro mente. In tale fase i bambini possiedono una forte immaginazione, un pensiero magico, dove realtà e fantasia possono essere facilmente confusi, e una mentalità egocentrica “Muoiono solo le persone cattive!”. La concezione della morte può essere interpretata come un evento temporaneo, come una punizione o essere idealmente associata a personaggi spaventosi, come uno scheletro o un mostro.

Con la crescita e l’incrementarsi di esperienze significative di vita i bambini acquisiscono una comprensione sempre più realistica e universale della morte, sviluppano maggiore empatia e sono più in grado di sintonizzarsi con gli stati emotivi delle persone che li circondano.

Come spiegare la morte ai bambini: parole o silenzio?

È bene parlare della morte al bambino o meglio evitare il discorso?

Avendo un po’ più chiari ora i primi stadi di comprensione del concetto della morte, i genitori possono orientarsi con più efficacia nella scelta delle modalità e delle parole da utilizzare per comunicare ai propri figli eventuali perdite, aiutandosi magari con il riferimento a immagini, favole o cartoni animati. L’appartenenza a un credo religioso può essere di supporto rispetto alla trasmissione di un messaggio, come ad esempio “Il nonno ora si trova in Paradiso, circondato dai suoi nuovi amici angeli. Lui ci ascolta da lassù anche se non lo possiamo incontrare, ma lo conserviamo nei nostri ricordi”, ma non necessariamente. Il Paradiso può diventare “Un posto lontano, un’altra dimensione, un luogo che raggiungeremo anche noi, non ora, ma tra molti anni”.

Come spiegare la morte ai bambini: cosa fare

Eventualmente, come spiegare l’accaduto? Specie se il defunto è una persona vicina al bambino che magari vede con una certa frequenza?

Questo è un quesito che mi viene posto frequentemente nell’esperienza clinica con i genitori “Come glielo diciamo? Quali termini ci conviene utilizzare?” con l’idea che sia essenziale trovare le parole giuste per comunicare la morte di persone care o altri eventi spiacevoli e sentiti come intollerabili per i bambini. Ricordiamoci che la morte fa paradossalmente parte della vita e ne determina una conclusione. Il lutto è un’esperienza che in modo inevitabile genera sofferenza o terrore, e che può essere, talvolta, tremendamente difficile da pensare, condividere ed elaborare, in particolare quando sono coinvolti anche i bambini.

Tuttavia questi ultimi possono essere molto più intuitivi e resilienti di quello che pensiamo e, senza dover necessariamente entrare nei particolari, meritano di conoscere la verità. Sarebbe davvero spiacevole che venissero a conoscerla per altre vie. Si sentirebbero traditi da noi, dai loro modelli di riferimento. Quindi, a mio avviso, è bene essere fin da subito chiari e sinceri, accogliere la loro possibile espressione di dolore, senza sopprimerla, ma facendo capire che gli siamo accanto. Sono sconsigliabili, anche se trasmessi dolcemente e con l’idea di preservare i bambini dal dolore, messaggi del tipo “Basta piangere!” perché non si percepirebbero legittimati in ciò che provano.

Come gestire la propria sofferenza di fronte ai bambini? Farsi forza e fingere che va tutto bene o si può condividere il dolore?

È molto frequente che i genitori si chiedano se possono piangere davanti ai propri figli, con inevitabile senso di colpa nel momento in cui non riescono a mantenere tale intento. Se il pianto riesce ad essere mantenuto in una dimensione contenuta e non esasperata può essere maggiormente accettato anche dai più piccoli. Può essere un’occasione per creare uno spazio di dialogo e dare un nome alle proprie emozioni. Se, invece, il genitore sente di non riuscire a gestire la propria emotività, sarebbe più indicato che trovasse uno spazio altro di espressione e accoglienza, rivolgendosi ad un professionista che lo guidi verso l’elaborazione del lutto.

È bene per il bambino che sia presente al rito funebre e che vada con i genitori a fare visita al cimitero?

Può essere utile per il genitore immaginarsi nel contesto del funerale: se ci si sente in grado di contenere il proprio dolore, si può proporre al bambino di partecipare al rito funebre per salutare il familiare venuto a mancare. È di fondamentale importanza accogliere i desideri e i bisogni espressi dal bambino e non costringerlo, qualora non se la sentisse di presenziare. Può essere utile anche preparare con lui un disegno, una lettera o un altro oggetto-simbolo da lasciare in dono al defunto.

Come spiegare la morte ai bambini: la paura del lutto

come spiegare la morte ai bambini

Una domanda sul “rischio della morte” che è oggi più percepito considerando il fenomeno del Covid-19. Come affrontare l’argomento con i bambini, anche considerando l’impossibilità di muoversi e vedere altre persone, così come le situazioni in cui si ha qualche caro ricoverato in quanto contagiato?

La situazione attuale sta mettendo a dura prova alcune famiglie, in particolare quelle che hanno vissuto la perdita di un caro. Ne consegue che i genitori potrebbero sentirsi emotivamente in difficoltà nella gestione sia dell’esperienza del lutto sia di un’eventuale comunicazione della stessa alle persone vicine a sé, compresi i bambini. Pertanto se l’adulto di riferimento dovesse riscontrare nei bambini dei segnali di preoccupazione, come eccessivo ritiro, nervosismo, irritabilità, regressioni a stadi precedentemente acquisiti (controllo sfinterico, alimentazione, linguaggio, sonno) è caldamente consigliato rivolgersi agli specialisti dell’età evolutiva, come pediatri e psicologi infantili.

Sebbene i bambini abbiano delle straordinarie capacità di adattamento, potrebbero risentire emotivamente di questa situazione e, in tal caso, sarebbe importante offrire alla famiglia l’aiuto professionale, di cui necessita.

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  • Bambino (1-6 anni)